Immaginate di camminare lungo una strada di Manchester in una piovosa sera del 1983. L’aria è densa di aspettative, di quelle che solo i gruppi della scena musicale inglese degli anni ‘80 sanno evocare.
Da un locale seminterrato, un suono indefinibile vi attrae come una calamita: chitarre scintillanti, linee di basso penetranti e una voce baritonale che scaglia versi tanto intimi quanto provocatori.
Eccovi faccia a faccia con i The Smiths, band seminale destinata a ridisegnare il panorama del rock indipendente britannico e – in seguito – globale, con un linguaggio universale fatto di poesia urbana, malinconie post-industriali e un’ironia pungente.
Fondati da Morrissey (voce) e Johnny Marr (chitarra), accompagnati da Andy Rourke (basso) e Mike Joyce (batteria) – ciao Mike, ti ricordi di quando ti ho chiesto se eri felice di fare il DJ per i Charlatans? – The Smiths si fanno presto notare per l’incontro, quasi magico, tra i testi profetici di Morrissey e il talento di Marr, capace di rivoluzionare la chitarra elettrica come pochi musicisti avevano fatto prima di lui.
In un’epoca in cui synth e drum machine sembravano conquistare ogni radio, e in cui band come i New Order tracciavano nuove frontiere elettroniche, i The Smiths difendevano fieramente l’essenza della chitarra jangle, fondata su arpeggi rapidi e su melodie dalla grazia al contempo antica e modernissima.
Molti critici e storici della cultura pop li hanno accostati a fenomeni come gli Stone Roses o i Suede, per descrivere la loro influenza sulla successiva generazione di gruppi.
Ma, come in una staffetta mistica, la torcia della creatività passò di mano in mano attraversando i decenni e l’eredità degli Smiths rimase impressa indelebilmente nell’immaginario collettivo.
La parabola artistica degli Smiths si è sviluppata in un arco temporale relativamente breve (dal 1982 al 1987), ma denso di capolavori, di tensioni e di avventure sonore.
In questo articolo affronteremo la loro intera discografia in una sorta di “fantaragionamento”: perché dietro ogni album si celano storie, leggende, interviste ritrovate e sogni mai sopiti.
Proprio riguardando i vecchi archivi di una rivista specializzata, la fanzine di nicchia degli anni ‘80 “Musica Più”, ho scovato una fantomatica intervista a firma di un giornalista musicale dall’altrettanto improbabile nome: Leo Bomba.
Leo è un cronista dalla penna visionaria, che afferma di aver parlato con Morrissey e Johnny Marr a più riprese, discutendo in modo approfondito di ogni album degli Smiths e ponendo loro anche alcune domande che ancora oggi ricorrono tra le curiosità dei fan.
Preparatevi a immergervi in questo viaggio tra musica, memorie e parole. Preparatevi a scoprire (o riscoprire) tutta la forza e la delicatezza di una band che ha cambiato per sempre i canoni del pop-rock.
CAPITOLO 1: “THE SMITHS” (1984)

Tra i “gruppi della scena musicale inglese degli anni ‘80” più attesi dopo una serie di singoli fulminanti, The Smiths esordirono con il loro album omonimo nel 1984. Pubblicato dall’etichetta Rough Trade, The Smiths catturò immediatamente l’attenzione di pubblico e critica.
Morrissey e compagni, in circa quarantacinque minuti di musica, riuscirono a sintetizzare la cupezza e la speranza dell’era thatcheriana, trasmettendo un messaggio di ribellione e delicatezza emotiva.
I testi, al contempo ironici e struggenti, colpivano come lampi a ciel sereno. “Reel Around the Fountain” parlava di desideri inconfessabili, “Still Ill” era un inno all’inquietudine giovanile, mentre “Hand in Glove”, già singolo di debutto, ruggiva di sfida contro conformismi e regole sociali.
L’album, pur privo delle vette di produzione dei lavori successivi, conserva ancora oggi quel fascino grezzo che contraddistingue un esordio carico di urgenza creativa.
Estratto intervista di Leo Bomba a Morrissey e Johnny Marr su “The Smiths”

Leo Bomba: “Ho tra le mani il vostro primo disco, The Smiths. Qual è la scintilla che vi ha spinto a comporlo con tale intensità?”
Morrissey: “Non direi scintilla, piuttosto un fuoco covato a lungo. La Gran Bretagna è in subbuglio, le città industriali mordono i sogni della gente. Scrivere queste canzoni è stato un atto di sopravvivenza emotiva.”
Johnny Marr: “Per me, la chitarra deve narrare una storia quanto le parole. Ho cercato di far cantare le corde di una Fender come se fosse la voce di un sopravvissuto al grigiore. L’album è suonato quasi in presa diretta: volevamo catturare la sincerità di un’espressione purissima.”
Leo Bomba: “Sembra quasi che cerchiate di unire la fragilità personale alla forza collettiva.”
Morrissey: “Sì, perché questa è la nostra storia: quattro musicisti che combattono la noia e l’insoddisfazione. E, alla fine, questa diventa la storia di chiunque ascolti.”
Leo Bomba: “Prima di iniziare, vorrei partire da una domanda da novizio, ma necessaria. Quanti album hanno fatto i The Smiths, includendo studio e pubblicazioni ufficiali?”
Johnny Marr: “Beh, di album in studio ce ne sono quattro: The Smiths, Meat Is Murder, The Queen Is Dead e Strangeways, Here We Come. Poi però ci sono le raccolte: Hatful of Hollow, The World Won’t Listen e Louder Than Bombs, più l’album live Rank uscito dopo lo scioglimento. Quindi, sì, parecchie uscite in pochi anni.”
Leo Bomba: “E un’altra curiosità: molti considerano Morrissey il leader della band. È davvero così? Chi è il leader degli Smiths?”
Morrissey: “Leader è una parola forte, e forse riduttiva. Io metto la mia voce e i miei testi, certo, ma la band non esisterebbe senza il contributo di tutti. Anche Johnny è stato un co-autore e un motore musicale fondamentale. Se io creo un’anima, lui le dà un corpo.”
Johnny Marr: “Esatto. Non c’è un ‘leader’ in senso tradizionale. Morrissey è la voce, il volto più riconoscibile, ma è sempre stato un lavoro di squadra. Se c’è un leader, direi che è la musica stessa.”
CAPITOLO 2: “MEAT IS MURDER” (1985)

A poco più di un anno dall’esordio, i The Smiths tornano con Meat Is Murder, sempre per Rough Trade. Il titolo è programmatico: Morrissey, vegetariano convinto, trasforma la musica in uno strumento di denuncia delle crudeltà sugli animali.
Il disco si allarga a temi più politici, come la violenza domestica in “Barbarism Begins at Home” e la critica al sistema educativo in “The Headmaster Ritual”.
Johnny Marr spinge la sua chitarra oltre gli schemi dell’indie pop, esplorando funk e ritmi sincopati, mentre la sezione ritmica di Rourke e Joyce si fa più corposa e sperimentale.
L’opera, intrisa di sapore militante, si apre con “The Headmaster Ritual”, un’odissea di chitarre e reminiscenze scolastiche trasformate in manifesto libertario.
“That Joke Isn’t Funny Anymore” scivola invece nei territori della malinconia struggente, con un crescendo lento che travolge l’ascoltatore.
La title track, “Meat Is Murder”, diventa un inno etico e morale, un grido di dolore contro gli allevamenti intensivi che rimbomberà per decenni.
Estratto intervista di Leo Bomba a Morrissey e Johnny Marr su “Meat Is Murder”

Leo Bomba: “La critica sociale è evidente in questo disco. Cosa ha motivato una sterzata così netta?”
Morrissey: “La canzone pop può essere intrattenimento, ma anche arma politica. Mi sono reso conto che avremmo sprecato una possibilità se non avessimo affrontato il marcio del mondo. Ho voluto gridare la sofferenza degli animali che muoiono ogni giorno, trasformando lo strazio in arte.”
Johnny Marr: “L’impegno politico è arrivato spontaneamente. Avevamo nuovi suoni da esplorare e quelle ritmiche più audaci hanno dato sostanza ai testi di Morrissey. Sentivamo l’urgenza di scuotere la gente, di non restare in superficie.”
Leo Bomba: “Il pubblico come ha reagito?”
Morrissey: “Alcuni si sono irritati, altri hanno applaudito. Ma la verità è che non puoi restare indifferente se una band si mette a raccontare la brutalità della carne. È un appello alla coscienza, né più né meno.”
CAPITOLO 3: “THE QUEEN IS DEAD” (1986)

Siamo nel pieno del fenomeno Smiths, e nel 1986 esce quello che per molti rimane il capolavoro assoluto: The Queen Is Dead. L’album è un viaggio tra le luci e le ombre dell’Inghilterra di Margaret Thatcher, filtrate attraverso la lente poetica di Morrissey.
Il brano d’apertura, che dà il titolo all’intero lavoro, è un attacco frontale alla monarchia, un atto dissacrante che risuona come un tuono in un Paese tradizionalmente rispettoso delle istituzioni. Eppure, le note di Johnny Marr vibrano in maniera dolcissima, con quel suo jangle inconfondibile che fa ballare anche i pensieri più scuri.
Nella tracklist troviamo veri e propri classici, come “There Is a Light That Never Goes Out”, canzone romantica e tragica al tempo stesso, e “Bigmouth Strikes Again”, un inno all’irriverenza verbale.
L’album si rivela un mosaico di stati d’animo: dal sarcasmo di “Frankly, Mr. Shankly” alla delicata introspezione di “I Know It’s Over”. Se The Smiths (1984) aveva il fascino dell’esordio e Meat Is Murder era profondamente intriso di messaggi sociali, The Queen Is Dead riesce a combinare ambizione, melodia e critica culturale in un equilibrio quasi perfetto.
Estratto intervista di Leo Bomba a Morrissey e Johnny Marr su “The Queen Is Dead”

Leo Bomba: “Siete arrivati a una sintesi suprema tra testi e musica. Com’è nato questo album?”
Morrissey: “Sono partito dal titolo, un gesto poetico, ma anche uno schiaffo alla venerazione dei simboli di potere. Volevo mostrare un’Inghilterra in cui la tradizione è un peso, non una ricchezza, e in cui i giovani trovano nell’ironia il loro rifugio.”
Johnny Marr: “Musicalmente, ho cercato di unire la cattiveria del rock alla dolcezza di certe ballate. Per ‘There Is a Light That Never Goes Out’, ho immaginato una scena notturna, una passeggiata tra lampioni e battiti del cuore accelerati.”
Leo Bomba: “Se doveste scegliere un solo brano, quale rappresenta meglio l’anima dei The Smiths?”
Morrissey: “Per me è ‘I Know It’s Over’: la disperazione che confina con la speranza, la voce che sussurra la solitudine ma la rende universale.”
CAPITOLO 4: “STRANGEWAYS, HERE WE COME” (1987)

Nel 1987 i The Smiths sembrano pronti a nuove sfide, ma anche a un definitivo attrito interno. Strangeways, Here We Come diventa così il loro testamento artistico, pubblicato nuovamente da Rough Trade.
Il titolo richiama un carcere di Manchester, quasi a voler suggerire un senso di prigionia morale e creativa.
Nonostante ciò, l’album si apre con “A Rush and a Push and the Land Is Ours”, un brano che risuona di freschezza insolita, come se la band fosse in procinto di rinascere.
“Girlfriend in a Coma” è uno dei singoli più noti: breve, pungente, costruito su un riff che sembra danzare in un incedere a metà tra il macabro e l’ironico.
“Stop Me If You Think You’ve Heard This One Before” offre un’altra spallata all’idea di canzone pop tradizionale, con un testo autoironico e una melodia coinvolgente.
L’album esplora territori sonori più variegati rispetto al passato, e molti fan lo considerano un potenziale trampolino di lancio verso una fase successiva. Invece, come sappiamo, i conflitti tra Morrissey e Johnny Marr sfociano nella decisione di sciogliere la band poco dopo l’uscita del disco.
Estratto intervista di Leo Bomba a Morrissey e Johnny Marr su “Strangeways, Here We Come”

Leo Bomba: “Questo disco suona quasi come un congedo, anche se ha spunti di rinnovamento. Com’era l’atmosfera in studio?”
Johnny Marr: “Carica di tensione, direi. Sentivo di voler osare di più, spingere la chitarra verso lidi inesplorati, ma i conflitti personali e il logorio di anni intensi erano innegabili.”
Morrissey: “Le mie parole erano ancora affilate, ma il clima con la band era diventato teso. Eppure, quando riascolto ‘Death of a Disco Dancer’, mi rendo conto di quanta bellezza possa nascere anche dalla frattura.”
Leo Bomba: “Molti si chiedono perché i The Smiths si siano sciolti proprio quando sembravate all’apice della creatività. Come rispondereste?”
Morrissey: “Ogni grande storia porta con sé conflitti. C’erano divergenze profonde tra di noi, stanchezza, pressioni discografiche e divergenze sulla direzione musicale. È stato un accumularsi di tensioni che ha trovato il suo culmine. Strangeways, alla fine, era un disco d’addio senza che lo sapessimo apertamente. Forse volevo solo diventare il nuovo Holly Johnson. Ma non lo voglono tutti, infondo?”
Leo Bomba: “E che fine hanno fatto i The Smiths, poi? Tutti speravano in una reunion che non si è mai concretizzata.”
Johnny Marr: “Ognuno di noi ha proseguito per la propria strada. Morrissey ha fatto la sua carriera solista, io ho collaborato con altri musicisti e ora continuo da solo. Mike e Andy hanno suonato in altri progetti. Le voci di una reunion non sono mai mancate, ma la verità è che il tempo e le circostanze non hanno mai coinciso. È come un sogno che aleggia nell’aria, ma la magia di quei cinque anni resta unica e irripetibile.”
THERE IS A LIGHT…

La storia dei The Smiths è breve ma intensa, come le luci di un lampo in una notte buia. Le tensioni interne, l’incompatibilità di visioni tra Morrissey e Johnny Marr e la stanchezza accumulata portarono all’inevitabile scioglimento della band nel 1987, poco dopo Strangeways, Here We Come. Eppure la loro influenza non si è mai davvero spenta: molti gruppi hanno ammesso di aver guardato ai The Smiths come a un faro luminoso in un mare di suoni sempre più artificiali.
Questo viaggio discografico ci ricorda che nella poetica dei The Smiths convivono dolore e sarcasmo, passione e critica sociale, un continuo richiamo all’intelligenza emotiva dell’ascoltatore.
Da quell’incontro fra le parole magnetiche di Morrissey e gli arpeggi incandescenti di Marr è nato uno stile seminale, capace di parlare a generazioni di appassionati e di musicisti in cerca di un linguaggio universale con cui esprimere le proprie inquietudini e aspirazioni.
DISCOGRAFIA COMPLETA DEI THE SMITHS
Di seguito, per gli amanti dei dettagli e per i collezionisti incalliti, riporto la discografia dei The Smiths con data di pubblicazione, casa discografica, tracce (con autori e durata).
1. THE SMITHS (1984)
- Data: 20 febbraio 1984
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce:
- Reel Around the Fountain (Morrissey/Marr) – 5:58
- You’ve Got Everything Now (Morrissey/Marr) – 3:59
- Miserable Lie (Morrissey/Marr) – 4:27
- Pretty Girls Make Graves (Morrissey/Marr) – 3:43
- The Hand That Rocks the Cradle (Morrissey/Marr) – 4:38
- This Charming Man (Morrissey/Marr) – 2:43
- Still Ill (Morrissey/Marr) – 3:20
- Hand in Glove (Morrissey/Marr) – 3:23
- What Difference Does It Make? (Morrissey/Marr) – 3:49
- I Don’t Owe You Anything (Morrissey/Marr) – 4:05
- Suffer Little Children (Morrissey/Marr) – 5:28
Durata totale: ~46 minuti
2. HATFUL OF HOLLOW (1984)
(Compilazione, spesso considerata imprescindibile per i fan)
- Data: 12 novembre 1984
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce (selezione):
- William, It Was Really Nothing (Morrissey/Marr) – 2:10
- What Difference Does It Make? (Peel Session) (Morrissey/Marr) – 3:12
- This Charming Man (Peel Session) (Morrissey/Marr) – 2:43
- How Soon Is Now? (Morrissey/Marr) – 6:46
- Handsome Devil (Peel Session) (Morrissey/Marr) – 2:46
- Hand in Glove (Morrissey/Marr) – 3:14
- Heaven Knows I’m Miserable Now (Morrissey/Marr) – 3:34
…
(Durata totale circa 56 minuti)
3. MEAT IS MURDER (1985)
- Data: 11 febbraio 1985
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce:
- The Headmaster Ritual (Morrissey/Marr) – 4:52
- Rusholme Ruffians (Morrissey/Marr) – 4:19
- I Want the One I Can’t Have (Morrissey/Marr) – 3:13
- What She Said (Morrissey/Marr) – 2:42
- That Joke Isn’t Funny Anymore (Morrissey/Marr) – 4:57
- Nowhere Fast (Morrissey/Marr) – 2:35
- Well I Wonder (Morrissey/Marr) – 4:00
- Barbarism Begins at Home (Morrissey/Marr) – 6:57
- Meat Is Murder (Morrissey/Marr) – 6:06
Durata totale: ~40 minuti
4. THE QUEEN IS DEAD (1986)
- Data: 16 giugno 1986
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce:
- The Queen Is Dead (Take Me Back to Dear Old Blighty) (Morrissey/Marr) – 6:24
- Frankly, Mr. Shankly (Morrissey/Marr) – 2:17
- I Know It’s Over (Morrissey/Marr) – 5:48
- Never Had No One Ever (Morrissey/Marr) – 3:36
- Cemetry Gates (Morrissey/Marr) – 2:39
- Bigmouth Strikes Again (Morrissey/Marr) – 3:12
- The Boy with the Thorn in His Side (Morrissey/Marr) – 3:15
- Vicar in a Tutu (Morrissey/Marr) – 2:21
- There Is a Light That Never Goes Out (Morrissey/Marr) – 4:02
- Some Girls Are Bigger Than Others (Morrissey/Marr) – 3:14
Durata totale: ~36 minuti
5. THE WORLD WON’T LISTEN (1987)
(Compilazione di singoli e b-side)
- Data: 23 febbraio 1987
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce (selezione):
- Panic (Morrissey/Marr) – 2:20
- Ask (Morrissey/Marr) – 3:15
- London (Morrissey/Marr) – 2:07
- Bigmouth Strikes Again (Single Version) (Morrissey/Marr) – 3:14
- Shakespeare’s Sister (Morrissey/Marr) – 2:09
…
(Durata totale circa 58 minuti)
6. LOUDER THAN BOMBS (1987)
(Altra celebre compilazione pubblicata negli USA)
- Data: 30 marzo 1987
- Etichetta: Sire (USA) / Rough Trade (UK)
- Tracce (selezione):
- Is It Really So Strange? (Morrissey/Marr) – 3:04
- Sheila Take a Bow (Morrissey/Marr) – 2:42
- Sweet and Tender Hooligan (Morrissey/Marr) – 3:34
- Shoplifters of the World Unite (Morrissey/Marr) – 2:57
- Asleep (Morrissey/Marr) – 4:10
…
(Durata totale circa 72 minuti)
7. STRANGEWAYS, HERE WE COME (1987)
- Data: 28 settembre 1987
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce:
- A Rush and a Push and the Land Is Ours (Morrissey/Marr) – 2:59
- I Started Something I Couldn’t Finish (Morrissey/Marr) – 3:47
- Death of a Disco Dancer (Morrissey/Marr) – 5:26
- Girlfriend in a Coma (Morrissey/Marr) – 2:02
- Stop Me If You Think You’ve Heard This One Before (Morrissey/Marr) – 3:32
- Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me (Morrissey/Marr) – 5:04
- Unhappy Birthday (Morrissey/Marr) – 2:46
- Paint a Vulgar Picture (Morrissey/Marr) – 5:35
- Death at One’s Elbow (Morrissey/Marr) – 1:59
- I Won’t Share You (Morrissey/Marr) – 2:49
Durata totale: ~36 minuti
8. RANK (1988)
(Album dal vivo pubblicato dopo lo scioglimento)
- Data: 5 settembre 1988
- Etichetta: Rough Trade
- Tracce (selezione):
- The Queen Is Dead – 4:13
- Panic – 3:06
- Vicar in a Tutu – 2:40
- Ask – 3:12
- His Latest Flame/Rusholme Ruffians (Medley) – 3:55
…
(Durata totale circa 46 minuti)
CONCLUSIONE FINALE
Così si chiude un viaggio appassionante tra note e parole. Come sempre accade quando si tratta di musica che ha segnato un’epoca, ci si ritrova con l’impressione di aver solo grattato la superficie di un mondo ricco di sfumature e risonanze emotive.
Che siate veterani del vinile o nuovi esploratori dell’indie rock britannico, la storia dei The Smiths resta un faro luminoso. Una luce che ci ricorda come – perfino da un piccolo scantinato a Manchester – sia possibile accendere un’ardente fiamma artistica capace di illuminare per decenni nel cuore degli ascoltatori di tutto il mondo.
Se è vero che esiste una colonna sonora per ogni generazione, la dolce cinica malinconica degli Smiths è stata in grado di superare la prova del tempo. There is a light that never goes out.