La guerra in Israele scorre nelle breaking news come un jukebox bloccato sullo stesso disco, Google ti dice cosa pensare mentre tu credi di scegliere, e One Piece continua all’infinito perché Eichiro oda non ha il coraggio di scrivere la parola “fine”.
In mezzo a questo delirio, io vi parlo dei Roxy Music.
Perché? Perché i Roxy negli anni ’80 erano l’unica cosa che ti faceva ancora sentire vivo senza doverti anestetizzare a furia di videogiochi o telegiornali.
Bryan Ferry, l’uomo che cantava come se stesse ordinando champagne in un bar vuoto alle tre di notte, era la voce che ti ricordava che anche dentro il collasso del mondo c’è spazio per un classico senza tempo.
Erano glam senza ridere, eccentrici senza chiedere scusa, sperimentali senza chiedere permesso.
Mentre tu ti accontentavi del solito Pop rock per cuori tiepidi, loro ti tiravano addosso un muro di synth Roland, un colpo di Jazz Chorus che ti spaccava la spina dorsale e ti faceva capire che la musica poteva ancora farti a pezzi, ricomporti e ridarti un motivo per alzarti dal letto.
E questo, oggi, con i feed saturi di opinioni che evaporano più in fretta di una lattina di Coca lasciata al sole, sembra incredibile: ma la musica, quando è fatta di stile, resta.
Breve storia dei Roxy Music
I Roxy Music nascono a Londra nel 1970. Un laboratorio sonoro più che una band: Bryan Ferry, figlio di un minatore di carbone, laureato in belle arti, porta con sé l’ossessione per l’eleganza e la malinconia.
La sua voce è già tutta lì: un crooner sofisticato che avrebbe potuto cantare nei night club anni ’50, ma che decide invece di infilarsi dentro il caos del rock.
Accanto a lui, all’inizio, c’è Brian Eno. Non un semplice tastierista, ma un manipolatore di mondi: sintetizzatori, nastri, trattamenti elettronici, efetti che trasformano un assolo di sax nell’urlo di una sirena o un colpo di batteria in un’esplosione cosmica.
Phil Manzanera alla chitarra e Andy Mackay ai fiati completano il quadro, con Paul Thompson alla batteria a tenere insieme tutto.
Il risultato è una musica che non somiglia a nessun’altra.
Già con il primo album, Roxy Music (1972), la band è una dichiarazione di guerra al conformismo.
Brani come Virginia Plain e Re-Make/Re-Model uniscono rock’n’roll, elettronica e moda. Non è solo musica: è estetica.
Le copertine, con modelle in pose glamour, diventano parte integrante del messaggio.
Nei primi anni ’70 i Roxy pubblicano una sequenza di dischi che ancora oggi fanno tremare i polsi: For Your Pleasure (1973), Stranded (1973), Country Life (1974), Siren (1975).
Sono dischi che oscillano tra l’Art rock, il Rock sperimentale, il glam più sfacciato e un rock decadente che sa di champagne stantio e tappeti persiani.
Poi succede quello che spesso accade alle band troppo grandi per rimanere unite: Eno se ne va dopo il secondo album, deciso a inseguire la propria visione sonora (che lo porterà a inventare la musica ambient e a produrre i Talking Heads e gli U2). Ferry resta, e diventa sempre più il cuore e la mente dei Roxy.
La band attraversa la seconda metà dei ’70 con dischi sempre più raffinati, ma nel 1976 si ferma.
Ferry intraprende la carriera solista, confermando di essere non solo il cantante dei Roxy Music, ma un artista completo.
I Roxy Music negli anni ’80
Alla fine degli anni ’70 il mondo è cambiato. A Londra il punk ha bruciato le regole, la new wave sta nascendo e il pop è pronto a entrare nell’era del videoclip.
I Roxy tornano nel 1979 con Manifesto. Non è il loro disco migliore, ma è un segnale: non sono finiti, anzi, sono pronti a reinventarsi.
Negli anni ’80 i Roxy Music diventano altro. Non più la band sperimentale che scioccava i critici, ma un gruppo di aristocratici del suono. Bryan Ferry, sempre più elegante e distante, guida un ensemble che suona con precisione chirurgica.
Le chitarre passano attraverso amplificatori Roland Jazz Chorus, con un chorus liquido che allarga lo spazio sonoro.
I sintetizzatori – Prophet-5, Jupiter-8, OB-Xa – dipingono paesaggi eterei. I fiati di Mackay diventano tocchi impressionisti.
Le loro canzoni pop non sono mai semplici: sotto la superficie levigata c’è sempre un’anima sperimentale.
Same Old Scene è pop da classifica, ma ha un groove ipnotico che anticipa l’house. Over You sembra una ballata romantica, ma è costruita come un mantra minimalista.
È un nuovo corso. Più adulto, più controllato, meno eccessivo. Ma anche più universale: negli anni ’80 i Roxy Music diventano la colonna sonora perfetta per chi vuole ballare senza perdere la malinconia.
Flesh + Blood (Polydor Records, EG, 1980)
Nel 1980 arriva Flesh + Blood. È il disco che segna il vero ritorno e li porta al numero uno in classifica nel Regno Unito. Prodotto con Rhett Davies, è un album levigato, elegante, ma anche sorprendente.
Suono e strumenti
In studio i Roxy usano strumenti musicali e tecnologie all’avanguardia.
Gli efetti – delay, riverberi, modulazioni – sono usati non come ornamento, ma come parte integrante della composizione.
I brani
- Over You: tre accordi, semplicità disarmante. Ferry canta con un distacco che diventa emozione pura. È minimalismo pop, ed è irresistibile.
- Oh Yeah: la radio come macchina del tempo. Una canzone sulla nostalgia, che diventa essa stessa nostalgia. È qui che il rock decadente incontra la leggerezza pop.
- Same Old Scene: groove urbano, linee di basso circolari, synth ipnotici. Anticipa la new wave e l’elettronica da club. Un capolavoro nascosto.
- Jealous Guy: cover di John Lennon, registrata dopo la sua morte. Ferry la canta con rispetto, ma anche con la sua inconfondibile eleganza. Diventa un inno, un ponte tra generazioni.
Ricezione
Flesh + Blood divide la critica. Alcuni lo considerano troppo levigato, troppo distante dalle follie sperimentali dei primi Roxy. Altri lo vedono come la maturità della band. Di sicuro, il pubblico lo premia: numero uno in UK, milioni di copie vendute.
Flesh + Blood è il disco che mostra come i Roxy Music abbiano saputo trasformarsi senza tradirsi. Non sono più i ragazzini glam che scandalizzavano i salotti, ma aristocratici del suono. Il loro Pop rock è diventato Art rock per adulti.
Avalon (Warner Bros., Polydor Records, EG, 1982)
Se Flesh + Blood è il ponte, Avalon è la cattedrale. Uscito nel 1982, è l’ottavo e ultimo album in studio dei Roxy Music e ancora oggi suona come un classico senza tempo. È il disco che più di tutti definisce l’estetica anni ’80: levigata, lussuosa, malinconica.
Suono e atmosfera
Registrato ai Compass Point Studios alle Bahamas e completato a Londra, Avalon ha un suono cristallino.
Ogni strumento è al suo posto, come in una coreografia.
Ferry canta come un crooner fantasma, sospeso tra desiderio e distacco. La sua voce, che qualcuno definisce “ghiaccio bollente”, qui raggiunge la perfezione.
I brani
- More Than This: apertura fragile, malinconica. Una delle canzoni più amate del repertorio, diventata simbolo di dolce disillusione.
- Avalon: la title track è una liturgia. Cori femminili (Lucy Helmore, la moglie di Ferry, presta la voce), synth che fluttuano, atmosfera da sogno.
- The Space Between: basso ipnotico, ritmo ossessivo, quasi proto-electronica.
- Take a Chance with Me: pop romantico, sofisticato, con un crescendo che sembra un invito a ballare su un tappeto di nuvole.
- While My Heart Is Still Beating: Ferry canta con un lirismo dolente, riflessione sul tempo che scorre.
Chi cantava Avalon?
La domanda è quasi ironica: è Ferry, ovviamente. Ma la risposta serve a ribadire che la voce di Bryan Ferry non è solo un timbro, è il marchio dei Roxy. È ciò che rende la band unica.
Ricezione e impatto
Avalon raggiunge il numero uno in UK e vende milioni di copie. È considerato il disco più compiuto della band.
Se i primi Roxy erano sperimentali, qui diventano architetti sonori. Alcuni critici lo accusano di eccessiva perfezione, ma col tempo l’album viene riconosciuto come il culmine del percorso.
È anche un addio. Dopo Avalon, i Roxy si sciolgono. Ferry sceglie la carriera solista.
Che fine ha fatto Bryan Ferry? Ha continuato a pubblicare album eleganti, a fare tour, a incarnare l’idea del dandy rock.
Due matrimoni (Lucy Helmore e Amanda Sheppard) hanno alimentato la leggenda di un uomo che ha fatto della sua vita un’opera d’arte.
The High Road (Reprise/Polygram, 1983)
Nel 1983 esce The High Road, un EP live registrato a Glasgow. È breve – quattro brani – ma intenso. In scaletta: My Only Love, Can’t Let Go, Jealous Guy e Like a Hurricane di Neil Young.
Perché è importante
The High Road mostra i Roxy dal vivo in piena maturità. Non è il caos glam degli anni ’70, ma un concerto sofisticato.
La voce di Ferry è impeccabile, i fiati di Mackay disegnano arabeschi, gli efetti live trasformano ogni brano in un rito.
È un documento prezioso: l’ultimo respiro della band prima dello scioglimento. Non un addio roboante, ma un saluto elegante.
Revival e rivalutazione 2005–2010
Dopo anni di silenzio, i Roxy tornano nel nuovo millennio. Nel 2001 una reunion mondiale. Nel 2005 partecipano al Live 8 di Berlino, dividendo il palco con altri giganti. Il pubblico li accoglie come profeti tornati da un esilio.
Tra il 2005 e il 2010, la critica e le nuove generazioni di musicisti indie li riscoprono. Band come Franz Ferdinand, Arcade Fire, LCD Soundsystem citano la loro influenza.
Anche in Italia, fanzine e blog vintage celebrano il loro rock decadente, sottolineando come i Roxy avessero anticipato molto dell’estetica hipster: eleganza, nostalgia, sperimentazione.
Nel 2019 l’ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame sancisce ufficialmente il loro posto nel pantheon.
I Roxy Music nei romanzi di Haruki Murakami

In Dance Dance Dance, Murakami inserisce una scena indimenticabile: il protagonista guida la sua Subaru ascoltando una cassettina, la famosa “Subaru Tape”. Dentro ci sono Wonderful World (Sam Cooke), Oh Boy (Buddy Holly), Beyond the Sea (Bobby Darin), Hound Dog (Elvis Presley), Sweet Little Sixteen (Chuck Berry).
Il protagonista canta da solo, osservando che “tutti erano morti e sepolti, tranne forse Chuck Berry”. È un momento di pura nostalgia, di connessione con un passato che non c’è più.
E qui entrano i Roxy. More Than This è la versione sofisticata di Beyond the Sea. Love Is the Drug è la ribellione aggiornata di Hound Dog.
I Roxy e la Subaru Tape condividono lo stesso cuore: il bisogno di dare un senso al presente attraverso la musica del passato.
Murakami usa la cassetta come specchio interiore. I Roxy, negli anni ’80, facevano lo stesso: trasformavano la nostalgia in arte, la memoria in stile.
I Roxy Music nei film indie
Cinema e Roxy: un incontro inevitabile. Sofia Coppola chiude Lost in Translation con Bill Murray che canta More Than This al karaoke. È una scena che ha scolpito i Roxy nell’immaginario collettivo come colonna sonora della solitudine moderna.
Anche altri film indie li citano o li usano: Flashbacks of a Fool (2008) con Daniel Craig, alcune sequenze di Wong Kar-Wai che sembrano costruite sul loro sound.
La musica dei Roxy funziona anche al cinema perché è allo stesso tempo tangibile e onirica. Popolare e aristocratica, reale come immaginaria.
More Than This…
I Roxy Music degli anni ’80 non sono stati solo una band. Sono stati un’idea di stile.
Come la NASA, hanno esplorato nuovi spazi sonori.
Come Dracula, hanno succhiato sangue dal pop per nutrire un’eleganza decadente.
Come i Partigiani, hanno resistito alla banalità, costruendo un linguaggio unico.
La loro musica non è solo ricordo: è ancora oggi un invito a vivere, danzare, riflettere.
I Roxy Music restano una delle band più innovative degli anni ’70, protagonisti del Pop rock, dell’Art rock e del Rock sperimentale. Il loro merito più grande come band anni 80?Reinventarsi senza perdere la propria anima.