Negli anni Ottanta Supercar (titolo originale Knight Rider) non era solo una serie TV, era un rito collettivo.
Bastava la prima nota della sigla per inchiodare milioni di spettatori alla poltrona. Michael Knight (interpretato da David Hasselhoff) e la sua compagna a quattro ruote, KITT, erano il sogno proibito di chiunque avesse una bici arrugginita o una Vespa traballante.
KITT – acronimo di Knight Industries Two Thousand – era più che un’auto: era l’auto più incredibile di sempre, un personaggio a tutti gli effetti, un compagno, un oracolo digitale che parlava con voce calma mentre sfrecciava nelle notti televisive.
Una tecnologia all’avanguardia
KITT non era una semplice Pontiac Firebird Trans Am nera del 1982, ma una visione cyberpunk materializzata in garage hollywoodiani.
Glen Larson e gli autori della serie fecero della macchina una sorta di “cyborg su ruote”: fredda come un microprocessore, calda come un amico fidato.
Oggi potremmo parlare di intelligenza artificiale generativa, ma allora era pura magia.
- Intelligenza artificiale avanzata – il cervello elettronico di KITT la rendeva capace di dialogare, apprendere e perfino avere una sorta di ironia;
- Guida autonoma – KITT sterzava e accelerava senza bisogno di Michael Knight: un prodromo delle Tesla e delle Waymo di oggi;
- Turbo Boost – con un bottone, l’auto saltava muri e burroni come un supereroe;
- Carrozzeria indistruttibile – costruita in un fantomatico metallo “Tri-Helical Plasteel 1000”, immune a proiettili e esplosioni;
- Comandi vocali – Michael parlava con la sua macchina e lei rispondeva: un’anticipazione di Alexa, Siri e Google Assistant.
L’Impatto di Supercar sulla Musica Pop
Supercar non fu solo televisione, fu un fenomeno estetico e musicale. KITT diventò la metafora di un decennio in cui elettronica e sogno convivevano, e il design dell’auto nera con scanner rosso oscillante divenne un simbolo di coolness assoluta.
Persino la musica non restò indifferente: la sigla di Stu Phillips è ancora oggi uno dei riff elettronici più riconoscibili al mondo.
Gli anni Ottanta erano impregnati di sintetizzatori e drum machine, e la voce metallica di KITT sembrava provenire dallo stesso universo dei Depeche Mode e dei Kraftwerk.
In quella decade, l’idea di un’auto che rispondeva a comandi vocali non era poi così lontana dai vocoder che filtravano le voci nelle hit radiofoniche.
L’auto nera con lo scanner rosso, pulsante come una cassa in quattro quarti, era il perfetto feticcio visivo per la nascente estetica synth-pop.
- La sigla originale come blueprint sonoro – Il tema elettronico di Stu Phillips (1982) non era solo un jingle televisivo, ma un brano che poteva tranquillamente stare accanto a “Autobahn” dei Kraftwerk: basso pulsante, arpeggiatori ossessivi, melodia ipnotica. Non sorprende che negli anni ’90 e 2000 DJ e producer l’abbiano campionato nei club.
- Influenza nel pop mainstream – Artisti come i Busta Rhymes o i Basement Jaxx hanno citato o campionato il tema di Knight Rider. Addirittura i Black Eyed Peas in alcuni remix hanno giocato con suoni riconoscibili della sigla, trasformandoli in hook da dancefloor.
- Europa e Italo Disco – In Italia e Germania il tema divenne quasi un “sottogenere” musicale. Brani italo disco come Koto – Visitors o Laserdance evocavano chiaramente le stesse atmosfere futuristiche di KITT: melodie elettroniche, immaginario fantascientifico, auto notturne in fuga verso l’orizzonte.
- La voce di KITT come effetto musicale – Il timbro calmo e metallico del doppiatore William Daniels (in italiano doppiato da Ferruccio Amendola) somigliava a un effetto vocoder. Molti artisti synthwave e pop contemporanei (Carpenter Brut, Kavinsky, ma anche Daft Punk) hanno ricreato quell’idea di “voce macchina” che nasce proprio dall’immaginario di serie come Supercar.
- Il revival Synthwave – Negli anni 2010, con l’esplosione della synthwave, KITT è diventata un’icona visiva e sonora. Producer come Kavinsky (celebre per “Nightcall”, colonna sonora di Drive) hanno ripreso colori, estetica e suoni che richiamano direttamente la mitologia pop di Supercar. Le luci rosse a led, i beat notturni, la malinconia futuristica: tutto questo deve moltissimo all’immaginario di Michael Knight e della sua auto parlante.
In breve, KITT non solo correva sullo schermo, ma ronzava nei sintetizzatori delle canzoni pop.
Ogni arpeggiatore elettronico anni ’80 sembra un omaggio a quel radar rosso che si muoveva da sinistra a destra.
Se i Clash gridavano “I fought the law”, KITT rispondeva con un beep-beep elettronico: il suono stesso di una generazione che ballava con un occhio al futuro.
Se questo era il terreno sonoro, era inevitabile che l’eco di Supercar si propagasse ben oltre la sigla televisiva.
Il nome stesso — “Supercar” — diventò parola magica, pronta a scivolare nei ritornelli dance, nei titoli hip hop e persino nel K-Pop di vent’anni dopo.
Alcuni artisti scelsero di campionare direttamente il tema originale, altri preferirono evocare l’auto come metafora di potere, velocità, desiderio.
Da Roma alle piste eurobeat giapponesi, fino ai club americani, il mito di KITT ronzava nei beat, nei bassi ossessivi e nei testi che celebravano la macchina come superstar.
È qui che la colonna sonora della TV degli anni Ottanta diventa discografia parallela: un catalogo di canzoni intitolate Supercar o intrise di quell’immaginario, ciascuna a suo modo erede dell’auto più incredibile di sempre. Alcuni esempi?
Supercar — Flaminio Maphia (2004)
Roma, rime street e carrozzeria metallizzata: la supercar qui è status symbol, rombo, scintillio di neon. È il modo italiano (2000s) di trasformare l’auto-feticcio anni ’80 in oggetto di racconto urbano.
- Mood: hip-hop mainstream italiano, ritmica dritta, hook immediato.
- Perché richiama KITT: l’auto è “più di un mezzo”, è personaggio. L’iperbole meccanica come alter-ego del narratore.
- Highlight sonoro: produzione pulita early-2000, cassa in quattro, basso presente; immaginario “sgasata/cerchi in lega” che fa da ponte con i gadget di KITT.
- Dove sta nel tempo: singolo tratto da Per un pugno di euri (EMI), 2004.
Supercar — Vegas Jones (2019)
Trap/urban elegante: “supercar” come parola-totem di ascesa e desiderio. Non serve il campionamento: basta l’aura. L’auto diventa sintesi di velocità, vetrina e controllo di sé.
- Mood: trap/pop lucida, strofe agili, ritornello memorabile.
- Perché richiama KITT: la macchina è “scena” e “alleata”: presenza che ti trasforma appena giri la chiave.
- Highlight sonoro: synth minimali, kick profondo, voce in primo piano; immaginario notturno che fa pensare allo scanner rosso.
- Dove sta nel tempo: brano di La Bella Musica (2019).
Supercar — Max Coveri (1999/2000)
Eurobeat a 150+ BPM: la corsa eterna. È l’altra metà del cuore di Knight Rider: quando il V8 diventa cassa e l’arpeggiatore una striscia di led rossi da inseguire.
- Mood: high-energy, melodia luminosa, cori incollati con attack da dance italiana.
- Perché richiama KITT: il titolo è dichiarazione d’intenti; la velocità come narrazione principale.
- Highlight sonoro: lead di synth taglienti, linee di basso a dente di sega, build-up e drop “pista pura”.
- Nota filologica: circola nella filiera Super Eurobeat tra fine ’90 e 2000. (Schede discografiche eurobeat).
Turn It Up (Remix) / Fire It Up — Busta Rhymes (1998)
Il caso più famoso di campionamento diretto del tema di Knight Rider: l’arpeggio di Stu Phillips diventa motore per una super-hit hip-hop. KITT parcheggiata in doppia fila davanti al boom bap.
- Mood: rap anni ’90 a potenza piena.
- Perché richiama KITT: sample esplicito del tema: riconoscibile in mezzo secondo.
- Highlight sonoro: loop del tema come spina dorsale + rime travolgenti.
Back to the future
Guardando Supercar oggi, col senno di poi, viene da sorridere: quasi tutto quello che sembrava fantascienza è entrato nelle nostre macchine.
KITT era un laboratorio immaginario, una profezia travestita da telefilm del sabato sera. La televisione diventava un grande “manuale di futurologia pop”, anticipando i tempi.
- Infotainment digitale – il cruscotto di KITT, pieno di monitor, anticipava i moderni sistemi multimediali.
- Guida autonoma – la più clamorosa delle profezie: oggi le auto a guida autonoma sono realtà.
- Assistente vocale – Michael conversava con KITT esattamente come noi con i nostri smartphone.
- Cybersecurity e hacking – l’auto era in grado di decifrare codici, proteggere dati, infiltrarsi in sistemi: oggi routine della tecnologia digitale.
- Touch e realtà aumentata – il cruscotto di KITT era un caleidoscopio di pulsanti e schermi: un prototipo di realtà aumentata che oggi troviamo in parabrezza con head-up display.
Domande da bambocci

Quando eravamo bambocci e ci ritrovavamo a discutere, in cortile o durante l’intervallo, dell’episodio del pomeriggio precedente — perché Supercar andava a rotazione continua su Italia 1, assieme ad altro ciarpame adorabile come Manimal o il rivale Automan — c’erano alcune domande che inevitabilmente saltavano sempre fuori e scaturivano un dibattito acceso, degno di una tavola rotonda di piccoli semiologi in sneakers sporche di terra.
Che macchina è KITT di Supercar?
La risposta ufficiale mica la sapevamo! Supercar era una Pontiac Firebird Trans Am del 1982. Ma per noi non era una macchina: era un portale dimensionale. Era il nostro Millennium Falcon, la nostra chitarra elettrica immaginaria, il cavallo alato con cui scappare dalle lezioni di matematica.
Come faceva KITT a guidare da sola?
Gli esperti — cioè i due più grandi della compagnia, quelli che già masticavano Elettronica per ragazzi — giuravano che era per via di sensori a infrarossi e di un microprocessore “cibernetico”. Noi, che al massimo avevamo il C64 acceso sulla schermata blu, ci limitavamo a sognare. Oggi la chiamiamo intelligenza artificiale, assistenti vocali, dashboard predittive. Allora bastava la voce metallica che ti chiamava “Michael” per sentirti nell’occhio di un futuro che bruciava come neon.
Quanto costa una KITT Supercar?
All’epoca la cifra era irrilevante. Perché l’unico prezzo che conoscevamo era quello dei Puffi o delle figurine Panini. Ora sappiamo che servono decine di migliaia di euro per una replica fedele. Ma allora la valuta era un’altra. Mica le lire! Immaginazione pura, carburante inesauribile per generazioni di bambini nerd.
Chi guidava KITT Supercar?
Sì, ufficialmente Michael Knight, con la giacca di pelle e il ciuffo impossibile di David Hasselhoff. Ma a ben vedere, al volante eravamo tutti noi: ragazzini che si riconoscevano in quell’eroe con più cuore che muscoli. In ogni cortile di Cesena, in ogni paese di provincia, KITT ci aspettava idealmente al cancello della scuola. Anche se eravamo a pochi metri da casa.
KITT era il nostro supereroe motorizzato, con più anima che CGI. Un po’ come gli Stadio che cantavano di acqua e sapone mentre noi sognavamo turbo boost: autentici, provinciali, ma con un cuore rock.
KITT non era solo un’auto: era la promessa che la tecnologia potesse essere amica, che la macchina potesse avere voce, che l’immaginario pop potesse salvarci la giornata.
Ancora oggi, ogni volta che un sintetizzatore ronzante riaccende la nostalgia, quel radar rosso avanza e indietreggia nel buio: pulsante come una cassa in quattro quarti, eterno come il battito cardiaco della nostra infanzia.