Ci sono band che segnano un’epoca e altre che la trascendono. I Joy Division appartengono a questa seconda categoria: un’esperienza musicale e visiva che ha ridefinito il post-punk, trasformandolo in qualcosa di più grande di un semplice genere musicale. La loro breve ma intensa carriera si riflette in due dischi ufficiali, Unknown Pleasures e Closer, pubblicati dalla leggendaria Factory Records. Dietro la loro musica si celano storie di sofferenza, messaggi nascosti e un’estetica che ancora oggi continua a esercitare il suo fascino.
La band e i suoi album
I Joy Division furono una band britannica nata nella vibrante scena musicale di Manchester alla fine degli anni ’70. Composta da Ian Curtis (voce), Bernard Sumner (chitarra), Peter Hook (basso) e Stephen Morris (batteria), la formazione si distinse per un sound cupo e innovativo, che mescolava il minimalismo del punk con un’introspezione malinconica e sperimentale.
Unknown Pleausures

Il loro primo album, Unknown Pleasures, pubblicato nel 1979, si impose come un’opera seminale del post-punk.
Il disco, caratterizzato da un suono glaciale e stratificato, un basso pulsante e testi enigmatici, fu prodotto da Martin Hannett, il quale introdusse un’estetica sonora unica fatta di riverberi profondi e atmosfere oscure.
Nonostante la scarsa promozione e il limitato successo iniziale, l’album divenne nel tempo un pilastro della musica alternativa.
Closer

L’anno successivo, nel 1980, uscì Closer, un lavoro ancora più cupo e sofisticato, considerato il testamento artistico della band.
Il disco, segnato dal suicidio di Ian Curtis poco prima della pubblicazione, presenta arrangiamenti più raffinati e un tono malinconico e solenne.
Brani come “Heart and Soul” e “The Eternal” sembrano quasi preannunciare il tragico destino del frontman.
Closer è un requiem avvolgente, un’opera definitiva in cui la sofferenza si trasforma in una forma d’arte che ancora oggi lascia il segno.
Con questi due album, i Joy Division hanno creato un’eredità musicale immortale, ridefinendo per sempre il concetto di post-punk.
Il nome e il significato delle copertine
Ma cosa significa “Joy Division”? Il nome della band deriva da The House of Dolls, un romanzo scritto da Ka-Tzetnik 135633 (pseudonimo di Yehiel De-Nur) che racconta delle cosiddette “Joy Division”, unità nei campi di concentramento nazisti in cui le donne venivano sfruttate come schiave sessuali.
Una scelta provocatoria e disturbante, che si inseriva nella tendenza della band a evocare un senso di disagio e riflessione attraverso il proprio immaginario.
Le copertine degli album dei Joy Division sono altrettanto evocative e simboliche. La più iconica è quella del primo album, Unknown Pleasures, con il celebre diagramma bianco su sfondo nero che rappresenta le onde radio emesse da una pulsar (PSR B1919+21), tratto da un’immagine pubblicata nel libro The Cambridge Encyclopaedia of Astronomy.
Creata da Peter Saville, questa immagine è diventata un simbolo della band e dell’intera estetica post-punk.
La sua geometria minimalista e l’assenza di testo sulla copertina contribuiscono a creare un senso di mistero e distacco emotivo, caratteristiche che si riflettono nella musica della band.
Anche la copertina di Closer, progettata da Peter Saville, è carica di significati. La fotografia, scattata da Bernard Pierre Wolff, raffigura un monumento funebre all’interno del cimitero di Staglieno, a Genova.
L’immagine, con la sua solennità e la sua estetica neoclassica, sembra quasi anticipare il tragico destino della band e del suo leader, Ian Curtis.
In un’ironia macabra del destino, la scelta dell’immagine fu fatta prima del suicidio del cantante, conferendo all’opera un’aura quasi profetica.
Due immagini che, senza bisogno di parole, raccontano la storia di una band destinata a diventare leggenda.
Dopo Ian Curtis: la metamorfosi in New Order

Dopo la tragica scomparsa di Ian Curtis, i membri rimanenti della band non si sciolsero, ma decisero di continuare sotto un nuovo nome: New Order. Alla voce subentrò Bernard Sumner, mentre Gillian Gilbert si unì al gruppo per occuparsi delle tastiere.
Questa trasformazione segnò il passaggio dal post-punk a un sound più elettronico e sperimentale, con influenze dance, synth-pop e house music che contribuirono a ridefinire il panorama musicale degli anni ’80.
Il primo album pubblicato sotto il nuovo nome, Movement (1981), mostrava ancora forti echi dello stile dei Joy Division, ma fu con Power, Corruption & Lies (1983) che i New Order trovarono davvero la loro identità.
Il disco, caratterizzato da un uso massiccio dei sintetizzatori e delle drum machine, gettò le basi per il futuro del gruppo e per la musica elettronica alternativa.
La svolta definitiva arrivò nel 1983 con Blue Monday, il singolo che divenne l’underground anthem delle discoteche new wave e che, con la sua durata di oltre sette minuti, divenne il 12” più venduto della storia.
Il brano combinava un groove ipnotico, linee di basso pulsanti e un’innovativa produzione elettronica, dimostrando che il gruppo aveva saputo trasformare il dolore e l’oscurità dei Joy Division in un sound futuristico e coinvolgente.
La metamorfosi dei Joy Division in New Order non fu solo un cambio di nome, ma una rivoluzione sonora e culturale. La band mantenne un’aura speciale che ancora oggi affascina le nuove generazioni, diventando un punto di riferimento per la musica elettronica e per la fusione tra rock e synth-pop.
Il lascito eterno dei Joy Division
I Joy Division hanno inciso solo due album, ma il loro impatto è stato enorme. La loro musica, le loro copertine, il loro messaggio restano elementi imprescindibili della cultura post-punk.
In pochi anni hanno creato un’estetica e un suono che non hanno smesso di ispirare. Il loro lascito continua a vivere, proprio come le onde radio di una pulsar che ancora risuona nell’immaginario collettivo.