Il Gran Premio di Monaco 1984 non fu solo una gara: fu il battesimo di un predestinato. Monte Carlo, con le sue strade strette e il lusso decadente che si affaccia sul Mediterraneo, è sempre stato il teatro ideale per chi sa domare il caos. E quella domenica del 3 giugno, il caos aveva preso la forma della pioggia.
Io, all’epoca, tifavo per la McLaren. Non tanto per Prost, che era il re delle pole position e delle strategie, ma perché i secondi mi stavano più simpatici degli eterni vincenti.
Eppure, quel giorno, un giovane brasiliano mi fece dubitare della mia filosofia. Perché Ayrton Senna, con la sua Toleman-Hart, stava facendo qualcosa che nessuno aveva mai visto prima.
L’Ascesa di Ayrton Senna
Le strade del Principato si trasformarono in un torrente impazzito. Gli esperti dicevano che bisognava correre con cautela, che era impossibile spingere al limite senza rischiare il muro. Prost, al comando con la sua McLaren, sembrava voler controllare la gara. Ma da dietro arrivava un’ombra grigia con dettagli blu e rossi, che sembrava immune alla fisica.
Ayrton Senna, esordiente, danzava tra le curve di Monte Carlo con una precisione disarmante. Superava vetture che sembravano ferme, sfidava le pozzanghere con la sfrontatezza di chi non conosce il limite. Giro dopo giro, il cronometro certificava il miracolo: Ayrton era il più veloce in pista.
L’Interruzione e il Traguardo Rubato
Arrivò il verdetto. I giudici, con un colpo di teatro degno di Shakespeare, esposero la bandiera rossa. Gara sospesa. La motivazione ufficiale? La sicurezza.
La verità? Prost era nel panico e aveva chiesto di fermare tutto. In Formula 1 ci sono sempre due gare: quella in pista e quella nei corridoi della FIA.
Senna tagliò il traguardo al secondo posto, ma la beffa fu doppia: avesse completato un giro in più, avrebbe vinto.
La regola stabiliva che, in caso di sospensione, il risultato veniva congelato due tornate prima. Un’ingiustizia, certo, ma il mondo aveva capito: era nata una leggenda.
Il Principe di Monaco
Quello fu solo l’inizio. Senna e Monte Carlo diventarono sinonimi. Vinse sei volte il Gran Premio di Monaco, un record che nessuno ha ancora battuto. Lo fece con una precisione chirurgica, piegando la pista alla sua volontà. Il suo stile? Una danza tra i guardrail, con un equilibrio mistico tra audacia e controllo.
Il giro più veloce a Monaco? Nel 1984 non fu il suo, ma nei suoi anni d’oro, quando la sua McLaren diventò quasi un’estensione del suo corpo, registrò tempi che sfidavano la fisica.
Quando era in giornata, era come se guidasse su un binario invisibile, mentre gli altri lottavano con le sconnessioni dell’asfalto.
Senna aveva un idolo? Si chiamava Jim Clark, un altro poeta della velocità, un pilota che correva come se le gomme non toccassero il suolo.
L’Ultimo Giro, la Canzone di Lucio Dalla
Senna visse e morì per la velocità. Il 1º maggio 1994, a Imola, guidava una Williams FW16. In quel maledetto weekend, la Formula 1 aveva già pianto Roland Ratzenberger.
Ayrton, dopo aver trascorso la notte insonne, prese il via con un’ombra sul volto. Il resto è storia.
Lucio Dalla lo celebrò in una canzone struggente, “Ayrton”, che più che un tributo è un ritratto spirituale. Lo descrive come un uomo in guerra con se stesso, che sfidava il destino come si sfida un dio dispettoso.
Per me, Ayrton resterà sempre quello del Gran Premio di Monaco 1984. Non perché vinse – perché, tecnicamente, non vinse – ma perché dimostrò che il talento puro può riscrivere ogni tipo di regola. Anche solo per un istante.