“Я родом из радуги… Я родом из Победы”
(Egor Letov, Sovetskaya Rossiya, 2024)
“Vengo da un arcobaleno… vengo da una Vittoria”
Negli anni ’80 la musica rock nell’Unione Sovietica era una scintilla di ribellione in un paese grigio.
Nei gruppi musicali nati alla fine degli anni ’70 e inizio anni ’80 – dalle lente canzoni lisergiche degli Aquarium alle ballate punk di Grazhdanskaja oborona – stava nascendo un vero movimento rock clandestino.
Senza l’appoggio dello Stato (anzi, spesso proprio contro lo Stato), queste band autoproducevano dischi e cassette trasmettendo un’energia nuova: vivevano di autofinanziamento e di scambi sotterranei, riuscendo “a sopravvivere anche senza l’aiuto del potere”.
L’URSS, anziché incoraggiare questa musica, la subiva come una festa proibita: la censura si aggirava tramite festival di provincia e samizdat discografici, rendendo il rock una piccola rivoluzione collettiva.
Fin da subito i musicisti sovietici incarnarono delle avanguardie musicali: gruppi punk come Graždanskaja oborona (famosa nel mondo semplicemente come Grob, «difesa civile») di Egor Letov e rock metafisico come i leggendari Kino di Viktor Coj o i visionari DDT di Yuri Shevchuk.
Queste band creavano suoni d’avanguardia, spesso con sonorità dolenti e sperimentali, che sfidavano il conformismo: erano i nuovi Batman della psichedelia russa.
All’epoca, come ricorda Letov, si presentava così una sorta di paradosso.
«…non capisco come potessero odiare la musica rock. Suonare non equivaleva a cantare contro il potere o invocarne il rovesciamento. Per molti era semplicemente una festa, un ballo come tanti…»
Leningrado chiama: la capitale russa del rock
“Мы чувствовали себя как в подземной церкви…”
Boris Grebenshikov, intervista a Ogonyok (1987)
“Ci sentivamo come in una chiesa sotterranea…”
Anche se dapprima ignorata, la rock music sovietica divenne presto un fenomeno sociale crescente.
Nei primi anni ’80 nascevano i Leningrad Rock Club e i primi festival ufficiali come Tbilisi-80: eventi che radunavano le nuove stelle della scena.
A San Pietroburgo – Leningrado, la “capitale russa del rock” – si formarono nomi destinati a cambiare la storia musicale del paese (come Аквариум, Алиса, Пикник, oltre appunto a Кино e ДДТ). Quella città rimaneva il cuore pulsante di un’Italia del rock sovietico: dai cantieri di periferia uscivano artisti che, al chiuso di stanzette polverose e club clandestini, inventavano un modo tutto loro di cantare il deserto ideologico in cui vivevano.
“В начале 80-х рок-музыкантов и их поклонников начали рьяно преследовать. Молодой человек свой вечер мог начать на подпольном концерте, а закончить – в отделении милиции”argumenti.ru.
Alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 il potere reagì bruscamente: ogni rockclub divenne un’occasione di controllo.
Apparvero “liste nere” di gruppi proibiti. Ogni concerto doveva sembrare un ballo innocuo.
I giovani musicisti si esibivano di nascosto, scappando dalle ronde, come ricorda un editoriale russo.
«Negli anni ’80 i musicisti rock e i loro fan vennero perseguitati; un ragazzo poteva iniziare la serata a un concerto sotterraneo e finirla in questura»
Il KGB faceva irruzione agli spettacoli, identificava le cassette pirata, arrestava chi distribuiva vinili vietati.
Punk siberiano e poesia dell’autodistruzione
“Меня держали в психушке за песни. Я должен был выжить — поэтому я сочинял”
Egor Letov, Intervista a Samizdat, 1991
“Mi hanno rinchiuso in manicomio per le mie canzoni. Dovevo sopravvivere – e quindi scrivevo”
Molti ragazzi furono picchiati o spediti in manicomio come “dissidenti mentali” – come accadde con Egor Letov, internato a forza nell’84 – oppure bollati come nemici del popolo.
Eppure era proprio il divieto a rendere quei suoni preziosi: i giovani non volevano più ballare valzer alla radio, rifiutavano la legkaia muzyka censurata e cercavano il twist, il rock’n’roll, l’hard-rock o anche la disco, per sentirsi liberi.
In quei ferri da stiro proibiti – per citare il gergo dell’epoca – si trasformarono i sogni di una generazione stanca del grigio sovietico.
“После первой песни от них не осталось и следа… мощный, сокрушительный напор музыки «ДДТ» подхватил и понес зал” nashe.ru.
“Dopo la prima canzone di loro non rimase più traccia… la potenza travolgente della musica dei DDT travolse e trascinò l’intera sala.“
Così, tra oppressione e bisogno di rivoluzione, la musica svoltò. Sul palco apparvero band come ДДТ con Yuri Shevchuk, la loro musica esplose “come un uragano”: dopo ogni pezzo il pubblico capiva di aver preso parte a un evento storico.
Yuri e i colleghi si travestivano da operai o militari, imbracciavano le chitarre elettriche e cantavano di anarchia e malinconia.
Anche Аквариум di Boris Grebenshikov contribuì a liberare i suoni, mischiano rock con elementi folk e orientalismi: tutti aprivano la strada alla perestrojka vera dal basso.
Contestualmente, nelle grandi città come Mosca comparivano anche palchi ufficiali – e così la musica ribelle iniziò a uscire dalle cantine.
Tuttavia, queste «forme di vita ambrate» sotterranee rimasero il cuore pulsante di un’«Underground degli anni 80» coraggioso e clandestino.
Perestrojka: il rock entra nella storia
“Мы ждем перемен!”
Kino, 1986 – “Aspettiamo dei cambiamenti!”
Negli anni della Perestrojka e della Glasnost, dopo il 1985, nell’URSS il movimento rock esplose nella cultura di massa. La censura si allentò: i gruppi nascevano come funghi e trovavano finalmente “club approvati” dove suonare senza finire in prigione.
La famosa canzone del gruppo Кино, «Мы ждём перемен» (Aspettiamo dei cambiamenti), divenne in quell’epoca l’inno non ufficiale del desiderio di libertà e riforme, come ricorda un’analisi recente.
«Probabilmente la canzone più famosa della perestrojka rock è proprio “Мiy Zhdom Peremen” dei Kino» – rbth.com.
Negli stessi anni sorsero festival legittimi (il primo grande concerto rock internazionale a Mosca del 1989 fu un evento epocale) e al contempo maturarono testi nuovi: molti giovani cantavano alle manifestazioni, ed erano testi irriverenti, pieni di humor e di verità, spesso scaturiti dalle strade, non dalle università politiche.
Uno studioso americano spiega che in Siberia, dove non c’erano club ufficiali, i rocker «attratti dal punk occidentale bypassavano la censura restando sotterranei» e creavano musica apertamente critica del sistema (readingintranslation.com).
È lì che Letov compose canzoni graffianti contro il conformismo sovietico: «Per non impazzire dovevo creare», come scrisse dietro le sbarre dell’ospedale psichiatrico.
La sua Grazhdanskaja oborona divenne per definizione “la band punk politica per antonomasia” dell’era sovietica.
Ben presto, San Pietroburgo/Leningrado fu invasa dai giovani rockers desiderosi di musica nuova, tanto che qualcuno la soprannominò “capitale russa del rock”.
Qui nacquero molti festival urbani e venue come il circolo “Pushkinskaya 10” (ex colonia per artisti) divenne centro per musicisti alternativi.
In questa vivacità si intrecciavano le influenze dei Beatles – la cui musica, piratata fin dagli anni ’60, aveva già acceso la scintilla primordiale – con le tradizioni del folk russo più selvaggio.

Come noto, la band straniera più famosa al mondo in Russia restano tuttora i Beatles: i loro primi LP clandestini del 1964 valgono come una sorta di patente culturale negata ai sovietici.
Oggi sappiamo che già Stalin in privato amava arie operistiche russe e ballate popolari, non certo il rock.
«Stalin adorava la classica opera russa – in particolare Ivan Susanin, La dama di picche, Il principe Igor – e ascoltava con piacere anche melodie popolari» – colonelcassad.livejournal.com.
Dunque il rock non era nel DNA del regime, ma dei giovani: di chi voleva sopravvivere con la musica, anche senza l’aiuto del potere.
La censura continua: Ariel Pink come Letov?
Proprio quando la storia del rock sovietico era più ricca di significati, oggi alcuni vorrebbero riscriverla.
In un’epoca di cancel culture (cultura della cancellazione), persino in Occidente è esplosa l’idea di «cancellare» interi artisti dall’esistenza.
Un esempio clamoroso è l’americano Ariel Pink: nel 2021 il suo nome è diventato tabù dopo la sua presenza pacifica alla nota manifestazione di Capitol Hill.
La sua etichetta discografica lo ha mollato senza mezzi termini e alcuni fan hanno lanciato campagne per boicottare ogni brano del suo catalogo.
Un genio indie acclamato — definito addirittura “fenomeno ipnagogico” dalla critica – è stato abbattuto per un sospetto politico.
Questo atteggiamento persecutorio somiglia in modo sospetto a certi castelli ideologici del passato: bollare un artista come un criminale e vietarne l’ascolto mette a tacere idee, paradossalmente proprio come faceva la censura sovietica.
Se da un lato è doveroso respingere con forza tanto i toni violenti del governo russo attuale – schierandoci nettamente contro l’aggressività e il colonialismo di Putin – sarebbe stupido cedere alla tentazione di cancellare la storia del rock russo, la pagina più pittoresca e dissidente della cultura russa.
Rock sovietico, rock russo e rock globale si tengono per mano nel celebrare valori di libertà, creatività e critica sociale. Da Leningrado a Los Angeles, la storia insegna che un riff di chitarra può valere più di un proclama ufficiale. Oggi come ieri, ascoltare dischi proibiti e tramandarne la memoria è un atto di resistenza e di cultura, oltre ogni tipo di Cortina, compresa quella fumogena.