L’action figure che amava Barbie, ispirava He-Man e insegnò a Tom Cruise come saltare da un tetto
C’erano le Barbie, c’erano le macchinine, c’erano i G.I. Joe, brutali e ipermuscolati. E poi c’era lui. Big Jim.
Con la mascella da attore protagonista anni ’70 e una flessibilità emotiva superiore a quella fisica (notevole anche quella, comunque), Big Jim arrivò in casa nostra come un parente misterioso che nessuno aveva invitato ma tutti finirono per amare.
Un po’ Ken sotto steroidi, un po’ Indiana Jones prima che Spielberg lo partorisse, era il tipo d’uomo che avrebbe potuto salvare il mondo con una stretta di mano. O con un colpo di karate al rallentatore.
Big Jim non nasce soldato. Non nasce cowboy. Non nasce agente segreto. Big Jim nasce… ambiguo!
La Mattel lo lancia nel 1972 come risposta meno guerresca e più californianamente rilassata ai G.I. Joe della Hasbro, allora già in piena modalità Vietnam.
Big Jim invece si allena, fa sport, campeggia, sorride. Ha una tenda, una canoa, e — dettaglio non trascurabile — la costante sensazione di poter fare qualunque cosa meglio degli altri. Come Tom Cruise, ma senza Scientology.
Si mormora che avesse una relazione segreta con Barbie, non ufficializzata nei cataloghi. Ma dopotutto, chi altro aveva il fisico, la chioma e il guardaroba per competere con Ken?
A differenza del biondino sempre in posa, Big Jim sapeva agire, e lo faceva con accessori da spia, giacche mimetiche, e soprattutto con un Quartier Generale che definire epico è riduttivo.
La scatola magica
Il Big Jim Quartier Generale non era un semplice giocattolo: era una struttura concettuale.
Chiusa, sembrava una valigetta da diplomatico internazionale. Aperta, si rivelava una base operativa modulare, pronta a ospitare ogni tipo di missione: salvataggi, inseguimenti, esperimenti scientifici, interrogatori e assaggi di papaya in zone tropicali.
C’erano computer, mappe, leve, scale, porte a scorrimento e — colpo da maestro — una parete che rivelava una stanza segreta.
Era il sogno di ogni bambino ossessionato dall’idea che esistano sempre stanze segrete.
Il contenuto del Quartier Generale era un messaggio in codice: il mondo è un’avventura continua. Non esistono pause.
Ogni angolo della base, ogni adesivo staccabile, ogni accessorio (una torcia, una bomba, una valigetta) suggeriva uno scenario possibile. Era solo plastica, ma educava all’imprevedibile.
Il mio primo ricordo: cordicella e catchphrase

Big Jim è stato il mio primo ricordo giocattoloso. Lo avevo con lo zaino parlante. Tiravi una cordicella e partivano le sue catchphrase:
“L’avventura ha inizio!”
“Preparati alla missione!”
“Non possiamo fallire!”
Erano ordini semplici. Frasi secche, scolpite come i suoi pettorali. Ma per un bambino, erano più incisive di mille discorsi. Erano messaggi. Le ascoltavi come chi ascolta un padre che crede in te, un mentore senza ironia. Forse è lì che ho imparato il senso della responsabilità. O forse solo che le pile durano poco.
Obb, Boris e i cattivi con stile

Poi vennero i nemici. E lì — come nei grandi romanzi — il mondo si fece interessante.
Il Professor Obb, calvo e malvagio, aveva più carisma di certi ministri.
Boris, con il nome da spia sovietica e la faccia da doppiogiochista, faceva già scuola in geopolitica per bambini. I cattivi di Big Jim erano eleganti, cerebrali, e sembravano sempre avere un piano migliore del tuo.
Ma il bene, si sa, vinceva sempre. Perché Big Jim aveva dalla sua non solo i muscoli, ma il pensiero laterale. Non sfondava muri: li aggirava. Non gridava: osservava.
Zio di He-Man, ispiratore di Cruise

Nel 1982, Big Jim lasciò il testimone. Da lui nacque la linea Masters of the Universe. Il figlio-non-figlio più celebre fu He-Man, biondo come Ken ma brutale come Conan.
La Mattel lo creò riutilizzando stampini e muscolature di Big Jim. Non era solo continuità industriale: era mitologia familiare. Big Jim era diventato nonno della nuova epica muscolare anni ’80.
E se oggi Tom Cruise salta da un palazzo all’altro in “Mission: Impossible”, non possiamo fare a meno di pensare che da qualche parte, sotto la giacca, nasconda un vecchio Quartier Generale di Big Jim ancora intatto.
La matrice del primo open world? Le piastrelle di casa!

Il Big Jim Quartier Generale è stato il primo vero “open world” della mia infanzia. Prima di GTA, prima di Skyrim, prima ancora dei LEGO modulari, c’era lui: una base portatile, piena di trappole e possibilità.
Oggi non esiste nulla di simile. Non perché manchino i giocattoli, ma perché manca l’idea che il gioco sia pensiero + avventura.
Big Jim non era un pupazzo. Era un progetto di vita.
Il sui Quartier Generale, una un estensione plasticosa di una fervida immaginazione.
Come direbbe lui, se potesse parlare ancora:
“La missione è iniziata.”