C’erano una volta i ritagli di giornale, gli annunci in fondo alle pagine, le pubblicità incastrate tra una lettera e l’altra nella rubrica di Cioè.

Era l’epoca in cui gli adolescenti italiani sfogliavano quelle pagine lucide alla ricerca di confessioni strappalacrime, consigli sull’amore e, soprattutto, delle piccole finestre di promozione che strizzavano l’occhio ai lettori.
“Cerco amico di penna, ascolto i Duran Duran e i Pooh”, “Vendo poster di Madonna”, “Scambio figurine Panini di Holly e Benji”. Spazio ridotto, impatto massiccio. Il “piccolo spazio pubblicità” era un microcosmo di desideri e bisogni adolescenziali, una sorta di social network analogico ante litteram.
Nel decennio del boom pubblicitario, in cui le réclame in TV si facevano sempre più catchy (Il pennello Cinghiale non perde il pelo!, Tu mi turbi, tu mi agiti…!), la musica non poteva che essere parte di questa macchina comunicativa.
Vasco Rossi lo aveva capito bene. E proprio su questo filo si inserisce Bollicine, una delle sue canzoni più iconiche, che non a caso si apre con la frase:
Coca Cola? Sì? Sì, Coca Cola.
Un’espressione che è già un claim pubblicitario. Un’esca sonora che cattura e condensa in poche parole il senso di un’intera epoca: la società del consumo, il potere dei media, il desiderio di evasione.
“Bollicine”: il significato di una vecchia canzone sempre attuale
Uscita nel 1983, Bollicine non è solo una canzone di Vasco Rossi, è un manifesto. Il brano, scritto dallo stesso Vasco con la collaborazione di Guido Elmi, si immerge in un gioco di metafore e allusioni, facendo il verso alla pubblicità ossessiva e onnipresente, ma strizzando l’occhio anche a un immaginario più trasgressivo.
Sotto la patina effervescente della Coca-Cola si cela infatti un doppio senso: le “bollicine” non sono solo quelle della celebre bibita americana, ma evocano anche il mondo delle droghe, in particolare la cocaina, da sempre associata al mito della rockstar.
Il brano si inserisce in un filone più ampio della cultura pop dell’epoca, dove il consumo di sostanze era spesso sottinteso nei testi delle canzoni, un po’ come facevano i Rolling Stones con pezzi come Brown Sugar o Honky Tonk Women.
Il gergo giovanile degli anni ’80 era ricco di codici e simboli. Tra i Paninari – tribù metropolitana di ragazzi che ostentavano abbigliamento firmato, giravano in motorino e idolatravano l’America – espressioni come “farsi una pera” indicavano l’uso di eroina, mentre la “vita da sballo” era sinonimo di weekend tra discoteche, fast food e radio accese su Deejay Television.

Ma se ieri c’erano i Paninari, oggi ci sono i Maranza, nuovi protagonisti di una gioventù che vive nei centri commerciali e si muove tra scooter e periferie, con un’estetica street che attinge alla trap e al mondo delle gang urbane.
Se i Paninari sfoggiavano Moncler, Timberland e jeans Levi’s 501, i Maranza oggi esibiscono tute Adidas, giubbotti bomber e cappellini Calvin Klein.
Anche lo slang è cambiato: se negli anni ’80 si diceva “Sbroccare” (perdere la testa) o “Tamarro” (pacchiano), oggi i Maranza usano espressioni come “Fra’” (amico), “Trappare” (fare soldi in modo illecito) o “Scialla” (rilassati).
Entrambi i gruppi si pongono come simboli di un determinato momento storico, specchi di un’epoca e del suo rapporto con il consumismo e la ribellione. I Paninari erano l’edonismo rampante degli anni ’80, i Maranza il disagio suburbano dei 2020. Vasco Rossi, con Bollicine, descriveva perfettamente l’illusione di un benessere dorato che, sotto la patina di leggerezza, nascondeva una realtà ben più complessa.
Musica, media digitali e l’epoca delle audiocassette

Negli anni ’80 la musica non si diffondeva in streaming ma viaggiava nelle tasche dei ragazzi grazie alle audiocassette, spesso duplicate con il classico doppio mangianastri.
Le copie passavano di mano in mano, con le playlist registrate direttamente dalla radio o da vinili e cd degli amici, tra la voce improvvisa dello speaker e il suono dei tasti play/rec premuti in fretta per non perdere l’inizio della canzone.
Vasco Rossi, con Bollicine, entrava in questi nastri con la stessa naturalezza con cui le sue canzoni riempivano i juke-box e i mangiacassette dei motorini.
Iconica, in questo senso, è la scena de Il tempo delle mele in cui la protagonista ascolta la musica con il walkman, isolandosi dal mondo. Un’immagine che racchiude l’essenza di quegli anni: l’adolescenza vissuta tra sogni e piccole ribellioni, con la colonna sonora giusta nelle orecchie.
Bollicine: il testo completo
Radio superstereoradio
Coca-cola (welcome everybody)
Bevi la coca cola che ti fa bene
Bevi la coca cola che ti fa digerire
Con tutte quelle, tutte quelle bollicine
Coca cola sì coca cola, a me mi fa morire
Coca cola sì coca cola, a me mi fa impazzire
Con tutte quelle tutte quelle bollicine
Piccolo spazio pubblicità
L’angolo della posta
Piccolo spazio pubblicità
E parlo di te
Radio superstereoradio
Coca-cola (welcome everybody)
Coca cola chi
Coca cola chi vespa mangia le mele
Coca cola chi
Coca chi non vespa più e mangia le pere
Con tutte quelle tutte quelle medicine
Io la coca cola me la porto a scuola
Coca cola chi
Coca cola coca-casa-e-chiesa, scuola
Con tutte quelle tutte quelle bollicine
Coca cola
E sei protagonista
Coca cola
Per l’uomo che non deve chiedere, mai
Con tutte quelle tutte quelle bollicine
Coca cosa
E sai cosa bevi
Io la coca cola me la porto a scuola
Coca cola sì coca cola coca-casa-e-chiesa
Pubblicità: dal piccolo spazio ai media digitali
Guardando ai giorni nostri, il concetto di “piccolo spazio pubblicità” è cambiato radicalmente. Oggi le inserzioni sono algoritmiche, studiate al millimetro per intercettare i nostri gusti con chirurgica precisione.
I giovani non scrivono più lettere a Cioè, ma pubblicano post su Instagram o TikTok, trasformando ogni angolo del web in uno spazio pubblicitario personalizzato.
Eppure, il bisogno di comunicare, di sentirsi parte di qualcosa, di trovare una canzone che racconti la propria storia, resta lo stesso.
Vasco Rossi continua a riempire gli stadi, i Paninari sono diventati un cult vintage e le pubblicità ci bombardano come allora, seppur con nuovi linguaggi e tecnologie.
Forse, in fondo, tutto si riduce ancora a quel ritornello irresistibile:
“Coca Cosa? Coca Cola!”
Un tormentone che, tra riff di vecchie chitarre e incursioni si sax, continua a risuonare attraverso le epoche, tra un passato analogico e un presente digitale.