Dov’eravamo rimasti, prima che la musica diventasse algoritmo e la nostalgia un filtro di Instagram?
Forse in un cinema d’essai a cielo aperto, dove suonava un pianoforte rotto e l’aria sapeva di olio solare e pioggia d’estate.
Forse eravamo seduti in fondo alla sala, con facce da stranieri, ascoltando Paolo Conte che sussurrava qualcosa di incomprensibile e universale allo stesso tempo:
_”Gelato al limon…”
C’è una potenza in quella frase, una meraviglia sussurrata, il potere di evocare situazioni disperate, giorni caldissimi, donne con spilli nei capelli e sogni nel cassetto.
È il potere della musica che non ha bisogno di spiegare tutto, che ti lascia una valigia di perplessità in mezzo al salotto e sparisce dietro una nuvola di swing.
Mentre cerchiamo risposte nei social, Paolo Conte le nasconde dietro una parola storta e una pausa che sa di libertà.
Come direbbe De Gregori, “Paolo Conte è l’unico che riesce a parlare di un gelato senza parlare né di fame né d’amore. E a far piangere lo stesso.”
Breve storia di Paolo Conte e la scuola genovese

Paolo Conte nasce ad Asti nel 1937, ma l’anagrafe dice poco. È uno di quei personaggi che sembrano sempre esistiti, come il jazz nei bar con il fumo e la nostalgia nei treni notturni.
Avvocato di professione, musicista per destino, Paolo Conte diventa presto un autore di successo scrivendo brani per Adriano Celentano (fra tutti: Azzurro, La coppia più bella del mondo), Caterina Caselli, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci.
La sua scrittura – frammentaria, evocativa, cinematografica – lo avvicina alla scuola genovese, quella di Fabrizio De André, Luigi Tenco, Gino Paoli, Umberto Bindi. Ma Conte non è uno di loro: è un satellite, uno che guarda Genova da lontano, con la nebbia piemontese e una tazzina di caffè jazz.
Francesco De Gregori, pur non essendo genovese nemmeno lui, lo ha sempre ammirato: “Conte è uno che scrive canzoni che sembrano quadri. Non c’è una logica, ma c’è un senso. È come un impressionista con le parole.”
Paolo Conte negli anni ’80: tra jazz e malinconia
Negli anni ’80, mentre l’Italia si colora di sintetizzatori, spalline e festival di Sanremo, Paolo Conte continua a indossare gessati stropicciati, a fumare l’armonia delle parole, a incidere dischi che sembrano usciti da un’altra epoca. Non fa videoclip, non ha look, non cerca il successo: eppure lo trova.
Album come Paris milonga (1981), Appunti di viaggio (1982), Aguaplano (1987) sono luoghi mentali più che album.
Non c’è un’estetica da MTV, ma ci sono perline colorate che compongono collane di suoni, ironie, malinconie e visioni.
Mentre il mondo corre, Conte cammina lento, spesso in retromarcia.
La storia del brano Gelato al limon

Apre proprio Paris milonga del 1981. Gelato al limon di Paolo Conte non è un singolo estivo, anche se nel testo evoca bagni e oceani. È una vignetta esistenziale, un’istantanea poetica. Non c’è trama. Non c’è spiegazione. Solo immagini.
Il brano nasce come frammento, come nota visiva più che come canzone. Conte stesso lo ha definito: “Un tentativo di raccontare la nostalgia della giovinezza senza usare la parola nostalgia.”
Il brano, inizialmente ignorato dai più, è diventato col tempo un cult. Una di quelle tracce che non si capiscono mai fino in fondo. Eppure restano.
Testo completo di Gelato al limon
Un gelato al limon, gelato al limon, gelato al limon
Sprofondati in fondo a una città
Un gelato al limon è vero limon
Ti piace?Mentre un’altra estate se ne va
Libertà e perline colorate
Ecco quello che io ti darò
E la sensualità delle vita disperate
Ecco il dono che io ti farò
Donna che stai entrando nella mia vita
Con una valigia di perplessità
Ah, non avere paura che sia già finita
Ancora tante cose quest’uomo ti daràE un gelato al limon
Gelato al limon, gelato al limon
Sprofondati in fondo a una citta
Un gelato al limon
Gelato al limon, gelato al limon
Mentre un’altra estate passeràTi offro una doccia ai bagni diurni
Che son degli abissi di tiepidità
Dove come oceani notturni
Rimbombano le voci della tua città
E ti offro la luna del pomeriggio
Per il sogno arabo che ami tu
E una stretta forte della mia mano
Per te donna che non mi scappi piùE un gelato al limon
Gelato al limon, gelato al limonE ti offro l’intelligenza degli elettricisti
Così almeno un po’ di luce avrà
La nostra stanza negli alberghi tristi
Dove la notte calda ci scioglieràCome un gelato al limon
Gelato al limon, gelato al limon
Cover famose e reinterpretazioni
Tra le reinterpretazioni più interessanti di Gelato al Limon troviamo:
- Fiorella Mannoia, che ne ha colto la malinconia femminile.
- Stefano Bollani, che lo ha tradotto nel linguaggio del piano solo.
- Avion Travel, con un tocco cinematografico e surreale.
Ma la cover più iconica è quella eseguita dal vivo da Lucio Dalla e Francesco De Gregori nel 1979, durante il tour “Banana Republic”, due anni prima dell’uscita ufficiale della canzone con Conte.
Dalla, con il suo timbro fanciullesco e dolceamaro, trasforma il gelato in una caramella al gusto di vita.
De Gregori, invece, lo fa diventare un oggetto smarrito in una poesia di Rimbaud.
È un momento sospeso, magico. Sembra che i due non stiano eseguendo un brano, ma evocando uno spirito. Quello di Paolo Conte, ovviamente, ma anche quello di un’Italia che sapeva ancora fermare il tempo con tre accordi e una metafora sussurrata.
È il tipo di performance che ti fa venire voglia di indossare un vecchio trench, vagare di notte sotto la pioggia a Cesena e fermarti davanti a una gelateria chiusa, solo per ricordare che sei ancora vivo.
Paolo Conte è parente di Giuseppe Conte?
Spoiler: no. Eppure la domanda torna, ogni volta che una nuova generazione scopre “Gelato al limon” e confonde i cognomi con i destini.
Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio, e il Conte Dracula di Bram Stoker, sono omonimie pop, ma nulla hanno a che fare con Paolo Conte. Non politicamente, non anagraficamente, e soprattutto non musicalmente.
Paolo Conte è un testimone di Geova?

Sui forum dimenticati, tra una gif animata di gattini e una recensione del 2007 su Aguaplano, circola da anni una teoria che farebbe impallidire anche Dan Brown: Paolo Conte sarebbe un testimone di Geova sotto copertura.
La prova? Nessuna. O forse troppe. L’eleganza sobria. L’apparente riservatezza. Il fatto che non si sia mai esibito in una sagra della porchetta di sabato. Elementi sospetti? Forse. Ma c’è di più.
Altri sostengono invece che non sia testimone di Geova, ma di Genova: custode spirituale della scuola cantautorale, messaggero segreto dell’antico codice De André. Secondo questa visione, Conte non canta: evangelizza. Ogni canzone è un salmo jazz, ogni disco una pergamena criptata.
Naturalmente, Paolo Conte non ha mai confermato né smentito nulla. Perché smentire un mito è come spiegare una poesia: si rompe.
Meglio allora restare nel dubbio, lasciare che l’uomo con la voce di carta vetrata continui a parlarci da un altrove, che sia Asti, Genova o il pianerottolo tra questo mondo e Radio Maria.
Weapons, Fuori Orario e Il Film dell’Anno

Alla fine, Gelato al limon di Paolo Conte è un piccolo enigma che ormai vive da quarant’anni al margine del mainstream. È il contrario di una hit estiva, eppure sembra destinata a non squagliarsi al sole, perdurando nel tempo. È la colonna sonora perfetta per una scena muta nel film italiano dell’anno, quello che ancora non esiste ma che immaginiamo tutti: silenzi lunghi, dialoghi lentissimi, una donna che cammina scalza su una strada bagnata.
O magari proprio per un piano sequenza iconico di Weapons, scalzando George Harrison, il film che ha sparigliato le carte con la sua estetica destrutturata e feroce, dove anche la violenza sembra avere bisogno di una ballata jazz per respirare.
Il protagonista di Weapons, in fondo, potrebbe benissimo essere uno dei personaggi di Conte: un uomo confuso, con una faccia da straniero, una valigia di perplessità, una voglia sottile di libertà che non riesce mai a esprimere a voce alta.
Chi ha detto che non si può cambiare il mondo con una canzone?
In fondo basta che sia gustosa come un gelato al limone.
O come un ricordo d’amore mai nato, che fa capolino al di fuori un sogno confuso, come la sigla di Fuori Orario beccata a metà, dopo aver puntato un vecchio videoregistratore in un orario a caso nel cuore della notte. Basta qualche frammento e siamo già spacciati, in balia di una sorte bizzarra. Ma questa è un’altra canzone…