“Jaws was never my scene /And I don’t like Star Wars” – Queen, Bicycle Race
Tempo fa, davanti a un supermercato, ho visto un bambino con la maglietta di Darth Vader. Stringeva una lattina di aranciata come fosse una spada laser.
Un po’ ho sorriso, pensando che le nostre guerre stellari non sono fatte di imperi e ribellioni, ma di aranciate sgasate e canzoni che partono all’improvviso, portandoci in mondi strani. Così mi è tornata in mente un’immagine che non appartiene al mondo reale: un oratorio vuoto, di domenica, e nel mezzo un jukebox acceso. Una visione che potrebbe essere uscita da un sogno di David Lynch, più che da un ricordo.
Ho cominciato a costruirci sopra una canzone. Non perché avessi qualcosa da dire, ma perché quella scena faceva rumore, anche in un mondo di fantasia. E quando qualcosa che non esiste fa rumore, devi per forza darle voce.
Time skip. Quella visione sta per diventare reale: venerdì 10 ottobre 2025 uscirà il mio primo singolo per questa nuova avventura a nome Zondini.
Non era la prima, anzi. Era l’ultima canzone di un’estate che mi aveva già lasciato addosso più polvere che luce. La chiusa, il colpo di coda, quello che scrivi quando pensi di aver già detto tutto.
È saltata fuori come una ricompensa, un regalo inaspettato proveniente dall’ultracosmo, consegnato in ritardo ma con tanto di fiocco.
Tipo una cartolina arrivata da un posto dove non sei mai stato e ti convince che sì, in qualche vita parallela alla fine ci sei passato davvero.
Una parola demodè

Gentil donzella, di pregio nomata,
degna di laude e di tutto onore,
ché par de voi non fu ancora nata
né sì compiuta de tutto valore,– Guido Guinizzelli
Il titolo della canzone sarà “Gentile Donzella”. Sono partito da un termine che sembra arrivare da secoli lontani, eppure ha continuato a bussare alla porta della mia memoria.
Ho pensato a Guinizzelli, a quelle poesie che parlavano di purezza e grazia. Ho pensato che oggi una parola così poteva avere ancora più forza: proprio perché stona, perché è diversa, perché illumina un sentimento che non ci concediamo più di nominare.
Non una ragazza in carne e ossa, ma un archetipo. Un rifugio poetico, una presenza sospesa che non ha bisogno di tempo per esistere.
Mi viene in mente la prima volta che ho incrociato i Cure. Da bambino li vedevo nei programmi musicali in TV, trattati come piccoli eventi stranianti: video pieni di insetti, larve, gente truce con volti truccati male che sembravano precipitare insieme da schermi claustrofobici dritti nei salotti di casa.
Non capivo bene cosa stessi guardando, ma quella malinconia luminosa mi rimase addosso, come un segnale proveniente da un altro pianeta.
Ed è stata proprio quella curiosità, nata davanti alla televisione, a spingermi anni dopo — da adolescente — a chiedere agli amici di aiutarmi a costruire la mia Compilation Dei Cure Perfetta.
Tutto è partito da una cassettina vergine, passata di mano in mano, registrata grazie ai loro cd e vinili.
Era un tempo in cui non esistevano Internet né mp3: ogni canzone era un piccolo bottino, un tassello in più di un mosaico che sembrava infinito.
Forse è da lì che ho imparato che certe parole e certe note possono risuonare anche se non le conosci del tutto: perché non servono a spiegarti qualcosa, ma a farti intuire che altrove c’è un varco, un’altra possibilità.
Ed è con lo stesso spirito che è nata “Gentile Donzella”: una parola che sembra arrivare da secoli lontani, eppure vibra oggi con più forza, proprio perché è fuori posto, diversa, luminosa.
Non è un nome, non è una ragazza reale: è un archetipo, un rifugio poetico, una presenza che rimane sospesa in una specie di campo magnetico, proprio come quelle canzoni dei Cure intrappolate in una cassetta — incomprensibili e necessarie allo stesso tempo, ectoplasmi catturati su nastro.
Di Stelle, Carrozze, Prove d’Orchestra

Nel testo della nuova canzone (in uscita il 10 Ottobre) ci sono immagini che non chiedono permesso: carrozze che viaggiano da un sogno all’altro, prove d’orchestra rubate ai film di Fellini, giardini segreti in cui nascondere ciò di cui non si può parlare.
Poi tante stelle, milioni di stelle, sotto cieli di velluto. Non indicano strade, non annunciano profezie: sono vertigine, smarrimento che ti fa perdere contatto con la realtà, una botta in testa calata con un martello da Titti a Gatto Silvestro.
Non tutto è perduto. Qualche frammento di sogno si trova ancora nel mondo reale. Ogni volta che vedo un jukebox vero, ad esempio.
L’ultimo era in un bar di provincia, nascosto tra due flipper rotti. Ci sono macchine che resistono, come certe canzoni: non servono più a niente, ma se le accendi funzionano ancora. E magari ti sparano Gloria di Umberto Tozzi proprio quando stavi ordinando un caffè. Il che, a pensarci, è più sorprendente di qualsiasi astronave.
It’s just a jump to the left…

‘Gentile Donzella’ è solo il primo graffio. Sbirciando dietro il sipario, si possono intravedere già gli altri singoli scalpitare come Han Solo e Leila intrappolati nello stesso jukebox arrugginito.
Ognuno porta con sé il suo feticcio firmato PopMart: bambole incrinate, pupazzi che sembrano usciti da un Batman disegnato male o da una vetrina di Lucca Comics alle sei di sera, quando la magia puzza già di hot-dog e nostalgia.
Poi arriverà l’album, una baracca psichedelica montata alla buona, tipo un Commodore 64 che carica Final Fantasy su una cartuccia Nintendo mezza rotta.
Non c’è epica, non c’è revival: solo una marcia storta verso un album che sarà un circo di personaggi fantasy, neon e fantasmi wave.
Intanto l’inizio è alle porte: fragile come un cuore che batte a 8 bit, ma ostinato come Ken il guerriero quando colpisce il punk radioattivo di turno.
Sei come un jukebox

Forse nell’universo di Star Wars i jukebox non ci sono. Ma nel mio, sì e il 10 ottobre 2025 comincerà a suonare Gentile Donzella. Non ci sarà tutto quel casino che c’è stato quando è esplosa la Morte Nera, ma il leggero crepitio di un disco preso a girare piano, un battito che si trasforma lentamente in qualche tipo di melodia.
Ogni canzone, se ci credi abbastanza, può diventare la tua personale galassia lontana lontana. Quando uscirà, vorrei che chi l’ascolta si sentisse parte di questo piccolo universo parallelo, fatto di stelle che si specchiano nell’acqua e eco di parole ormai smarrite nel tempo.
E se un giorno vi chiedessero cosa succede quando un jukebox si accende in un sogno, potrete rispondere: nasce una canzone.