Peavey T-40 è il basso che non chiede permesso: pesa più di un cane bagnato, suona come un temporale che rompe i vetri e ti offre una tavolozza di colori elettrici che i “bravi ragazzi” del P e del Jazz non si sognavano.
Un’idea industriale radicale (CNC, produzione di massa, prezzi umani), un’elettronica da laboratorio Frankenstein (coil tap e fase invertita, I’ll explain later…) e un carattere da club sudato dove o ti innamori o scappi.
Peavey T-40 è una categoria a sé: il suono è diverso da un basso P o Jazz, punto. Oggi che tutti inseguono la comodità, la T-40 per dispetto continua a fare l’opposto: è vintage ma ancora scomodo, quindi vivo. E sì: la finitura sunburst strizza l’occhio a un look da dinosauro aristocratico.
Un outsider di peso (in tutti i sensi)

Negli anni ’80 dominati dai Fender Precision e Jazz, spunta Peavey T-40: un basso americano pesantissimo (spesso oltre 10 libbre; non sono rari esemplari tra 10 e 12+ lbs) e robusto, tra i primissimi strumenti prodotti in massa con macchine CNC.
Hartley Peavey puntò a ridefinire l’accessibilità “Made in USA”, offrendo uno strumento economico ma solido. La T-40 è ricordata come “costruita come un carro armato”: bastava imbracciarla per capire che avrebbe resistito a qualsiasi prova sul palco (se non si fosse sfondato sotto i suo peso).
Il corpo in frassino, il manico in acero con 20 tasti, il ponte massiccio e le meccaniche oversize raccontano di uno strumento progettato per durare.
Persino i dettagli sono esagerati: 18 viti sul battipenna, un ponte che da solo sembra un fermacarte industriale, un capotasto metallico sulle prime serie.
Qualità costruttiva che oggi sorprende: legni scelti, verniciatura lucida (iconica la finitura sunburst), elettronica curata. Non a caso è ormai considerata un pezzo vintage ricercato.
L’elettronica passiva con coil-split sul tono e fase invertita permette timbriche che vanno da un attacco quasi funk a zampate taglienti alla Rickenbacker, rendendo il T-40 una categoria a sé.
Un dinosauro in lotta contro i giganti Fender (Precision e Jazz)

Per capire la T-40 bisogna contestualizzarlo nel suo tempo.
- Negli anni ’50 Leo Fender aveva già cambiato la storia con il Precision Bass, il primo basso elettrico prodotto in serie.
- Negli anni ’60 arrivò il fratello “cool”, il Jazz Bass, con manico più sottile, pickup brillanti e una silhouette che seduceva funk, soul, rock.
Perché vinsero? Semplicità, affidabilità, riconoscibilità: poche manopole, pochi fronzoli, tanto suono. Leggeri, comodi, “plug-and-play”.
- La T-40 arriva per rompere questo equilibrio: più pesante, più densa, più “industriale”.
Ma cosa cerca davvero un bassista?

Quasi sicuro un suono che scavi le budella e accenda le lampadine, bassi profondi, alti puliti, carattere da rissa; un manico che non strangoli la sinistra e un ferro che stia in equilibrio sulla spalla (con la T-40 serve una tracolla larga come un mattarello per la piadina romagnola), sempre intonato, dal sound check al terzo bis non richiesto.
E poi versatilità: passare dal funk brillante se si è in vena di velleità circensi al doom catramoso, senza cambiare arma — non l’ennesimo J-Bass da slap challenge (ciao Davie504), ma una bestia che in Romagna, tra il Bronson e una sagra di paese, abbi voglia di ringhiare quando la tocchi e quando la molli resti lì, fedele, a cuccia, ma pronto a non lasciarti mai a piedi.
- Suono: profondità nei bassi, chiarezza negli alti, carattere;
- Maneggevolezza: manico scorrevole che non strizzi la mano sinistra;
- Peso e bilanciamento: la T-40 qui è brutale; serve una tracolla larga;
- Affidabilità: intonazione stabile, elettronica che non ti lascia a piedi;
- Versatilità: passare dal funk brillante al doom più becero.
Hartley Peavey, il visionario

Hartley Peavey non nasce liutaio romantico, ma industrialista del suono. Nel 1965, in Mississippi, mette in piedi un’azienda che parte costruendo amplificatori a prova di botte (“il suono prima di tutto, al giusto prezzo”) e in pochi decenni diventa un colosso che esporta in oltre 130 Paesi.
Hartley Peavey ha una mentalità da fabbrica, non da bottega: standardizzare, rendere accessibile, far durare. E tenere il timone privato, senza padrini né padrone.
A metà anni ’70 Hartley capisce che il gioco delle chitarre è truccato: i big del settore “legano” chitarre e ampli imponendo pacchetti ai negozianti.
La soluzione? Fare da sé. Chiama Chip Todd (1975), gli mette in mano un reparto chitarristico consiste in… lui da solo, e insieme progettano una linea che non assomigli a nessuna: la T-series (chitarra T-60, basso T-40).
L’idea è brutale e geniale: portare nell’officina dello strumento le macchine a controllo numerico (CNC), come in aeronautica. Corpi e manici fresati al computer, tolleranze strette, costi sotto controllo, qualità ripetibile.
È l’alba delle chitarre/basso industrializzati bene, a prezzo umano.
Non si ferma lì: Peavey introduce hardware pressofuso, vernici poliuretaniche (resistenti, uniformi), frets pressati e perfino cabine di verniciatura elettrostatiche da catena produttiva—tecniche prese dall’industria “pesante” e piegate al rock.
È il contrario della retorica “solo a mano è meglio”: è la precisione come democrazia. La T-40 diventa la bandiera: accessibile, indistruttibile, con un’elettronica passiva che fa cose “attive” (coil-split nel tono e fase invertita su entrambi i pickup) senza una batteria a bordo.
Se cerchi la poesia del truciolo ti deluderà; se cerchi risultato, coerenza e suono ti innamori.
Questa è la visione di Hartley: portare l’America operaia dentro gli strumenti rock, farlo bene, farlo uguale per tutti, farli durare.
La T-40 è il suo manifesto: non bella per forza, ma giusta per mestiere.
Coil tap e fase invertita: la rivolta elettronica (spiegato ai neofiti)

La T-40 monta due humbucker a lama con un circuito intelligente.
- Coil-split “nascosto” nel controllo di tono: quando ruoti il tono verso 10 su ciascun pickup, il circuito taglia una bobina e lo trasforma in single-coil (più brillante, più attacco, meno volume). Intorno a 7 rientra in humbucker (più pieno, meno fruscio). Non devi spostare switch: lo fai girando il tono.
- Fase invertita: lo switch di fase funziona solo con entrambi i pickup attivi. Invertendo la polarità di uno, certe frequenze (soprattutto basse) si cancellano: ottieni un suono sottile, nasale, molto “radio anni ’60” ma su un basso rock—perfetto per riff che devono bucare il mix.
Con questi due strumenti la T-40 diventa un coltellino svizzero: può inseguire territori sonori diversi (fino a “finti P” e “finti Rick”), ma senza imitare davvero nessuno.
Un aneddoto tutto italiano. A Milano, un bassista di una cover band dei Matia Bazar provò a riprodurre l’alchimia sintetica di Ti sento con una T-40. Non ci arrivò—ma quello squillo alieno in fase invertita fece impazzire il pubblico: “Sembravano i Matia, ma più cattivi”. È lo spirito della T-40: seduzione e graffio, nello stesso colpo.
Il thump (cos’è, perché piace, come tirarlo fuori sulla T-40)

“Thump” è una parola onomatopeica: il colpo sordo e rotondo che ti prende allo stomaco, marchio di fabbrica del Precision. Si tratta di un modo di suonare + voce dello strumento (mano destra più vicina al manico, corde flat o nickels vecchie, palm-mute, compressione leggera).
Sulla T-40 ci arrivi così:
- Neck pickup in humbucker (tono ≈ 5–7),
- Bridge leggermente abbassato o escluso,
- Palm-mute e attacco deciso con polpastrello.
Il risultato non è il P “da manuale”; è più ruvido, un thump granuloso da scantinato rock. (E spesso più forte, complici massa e frassino.)
Il fascino del Rickenbacker (e perché McCartney lo ha scelto)

Il Rickenbacker 4001 è l’altra “tribù”: attacco chirurgico, sustain, scintilla metallica che sta sempre davanti nel mix.
È il basso di Chris Squire, il martello di Lemmy, la lama di mille dischi. Paul McCartney lo adotta in metà anni ’60 (dato in mano nel 1964/65), lo usa nei Beatles tardi e con i Wings per decenni, preferendolo all’Höfner quando servono potenza e definizione; tornerà a imbracciare l’Höfner a fine anni ’80.
La T-40 può evocare certe zingarate alla Rick (coil-split + ponte), ma resta un animale più sporco.
Il basso dei ribelli (ieri e oggi)

Prodotta dal 1978 al 1987, la T-40 non sfonda il mainstream, ma mette radici tra gli anticonformisti. Peavey la spinge con endorsement mirati: Ross Valory (Journey), Banner Thomas (Molly Hatchet), Leon Medica (Le Roux).
La T-40 è lo strumento di chi vuole differenziarsi: solido, incrollabile, non convenzionale. Oggi le nicchie pesanti (doom, sludge, stoner) l’hanno riscoperta per la sua voce cupa e la dinamica “da bulldozer”.
Top 5 ascolti anni ’80 per capire la T-40 (album + contesto)
La T-40 è stata più vista onstage che documentata nei crediti di studio. Qui trovi album rappresentativi di quell’epoca in cui la T-40 è documentata come strumento usato/endorsato dai bassisti citati (soprattutto live).
1) Journey — Captured (1981, live)
1979–81 è l’era in cui Ross Valory è testimonial T-40 (esistono annunci ufficiali “Ross Valory lays down the bottom line with the Peavey T-40”).
Captured ritrae quel suono dal vivo: basso massiccio, “cattivo” quando serve, presente in brani tirati e mid-tempo.
Ascolta “Any Way You Want It” e “Line of Fire” e immagina il coil-split aperto per tenere l’attacco. Set “alla Valory”: bridge split, neck in humbucker, tono medio-alto; ampli Peavey Mark III o simil-solid state bello fermo. c
2) Molly Hatchet — Take No Prisoners (1981)
Banner Thomas (basso) è accreditato e compare nelle letterature Peavey come utilizzatore T-40. In studio il suo suono resta granito southern—probabile mix di P-Bass e, in alcuni frangenti live, strumenti Peavey.
Su T-40: neck humbucker, tono chiuso al 6–7, tocco deciso con plettro; su ampli valvolare (Ampeg SVT) fai crescere il mid punch.
3) Le Roux — Last Safe Place (1982)
Leon Medica è immortalato in pubblicità Peavey con T-40: il suo AOR di Louisiana richiede versatilità—pad melodici, qualche slap, linee elastiche. Ascolta “Addicted” e “It Doesn’t Matter”: su T-40, passa dal neck humbucker (pad morbidi) al bridge split (fraseggi più brillanti) senza cambiare basso.
4) Atlanta Rhythm Section — Quinella (1981)
Paul Goddard è un signore del groove. È noto come uomo Rickenbacker 4001, ma l’orbita ARS di inizio ’80 gravita anche su Peavey (backline e contesto).
Ascolta “Alien” o “Homesick”: linee scolpite, precisione ritmica. Su T-40 per “imitare”: bridge split, fase normale, palm-mute leggero; compressione subtle.
5) Journey — l’era dal vivo ‘79–’80 (rappresentata su Captured)
Chiudiamo il cerchio tornando all’uso live documentato di Valory con T-40 fra ’78 e ’80 (video e foto promozionali). È il miglior laboratorio per “sentire” il carattere T-40 in mano a un big: attacco nitido quando serve, corpo sempre presente, gamma media mordace. Su T-40: entrambi i pickup, fase normale, tono 8–10, eventuale coil-split sul bridge per recuperare squillo nei ritornelli.
A margine: online gira la leggenda nerdopolitana di una T-40 fretless prestata a Kim Deal (Pixies) per un provino pre-Surfer Rosa. È un aneddoto di scena, affascinante ma non verificato in fonti primarie: prendilo come cartolina del vero spirito T-40—outsider per definizione.
Doom Metal e T-40: un matrimonio pesante
Mentre MTV lucidava i capelli, nelle cantine nascevano Saint Vitus, Pentagram, Trouble. Riff lenti, atmosfera cupa, bassi che scavano. Qui la T-40 è perfetta: lo strumento ti obbliga a pestare, il frassino risponde con sustain e la doppia bobina, in humbucker, crea una muraglia senza diventare fangosa.
Se vuoi scendere ancora: corde più grosse, accordatura giù di un tono, ampli valvolare con coni 15” o 8×10”, compressione leggera post.
Con che ampli farla ringhiare (ieri e oggi)
- Peavey Mark III / Mark IV (solid-state anni ’70/’80): punch a palate, ideale per la T-40 più “Valory” (set EQ piatto, leggero boost sulle medie).
- Ampeg SVT + 8×10: il lato doom/southern—medi a ore 1, bassi a ore 12, treble contenuti, guadagno quanto basta per la grana.
- Acoustic 370 / 301: autoritario, se ami quella botta vintage che riempie i teatri.
- Oggi: Darkglass (Microtubes 900) per saturazioni moderne controllate; GK (Legacy) se vuoi attacco chirurgico; Tech 21 VT Bass nel pre per ampeggiare qualunque finale.
Perché comprare una T-40 nel 2025

La Peavey T-40 non è mai stata il basso dei vincenti. È il basso di chi non voleva vincere: voleva fare casino, stare dall’altra parte, nel lato sporco, pesante, ingombrante.
La T-40 è un macigno di frassino che ti si incolla alla spina dorsale e ti ricorda che la musica non è solo comfort: è resistenza, fatica, sudore.
Motivi concreti (e poetici):
- Perché tutti hanno un Fender. Tu no. Imbracci la T-40 e sembri un alieno che ha sbagliato palco: dovevi suonare al Bronson di Madonna dell’Albero e ti ritrovi in un matrimonio romagnolo—eppure vinci lo stesso perché suoni diverso.
- Perché è indistruttibile. La dimentichi in macchina al sole; ci rovesci una birra sopra: lei ride e continua.
- Perché la sua elettronica passiva è ancora strana. Sembra uscita da un laboratorio Nintendo: giri il tono e il basso diventa un’altra creatura, tra Rickenbacker e kaiju di Jurassic Park.
- Perché il doom non è morto. Se vuoi scendere negli inferi con Saint Vitus o Electric Wizard (e poi risalire a prendere un gelato in piazza), questo è il passaporto.
- Perché è un atto di ribellione. Nel 2025 tutti vogliono leggero, smart, wireless. Tu scegli il più pesante. La musica vera è come il nubifragio che ti sorprende a metà concerto: ti infradicia, ti gela, ma ti resta addosso.
- Perché è ancora accessibile. Non lo sarà per sempre. Ogni volta che qualcuno la posta come “gemma dimenticata”, i prezzi si alzano di un altro scatto.
Comprare una T-40 oggi significa farsi carico di un pezzo di storia che non voleva essere storia ma rumore, legno, ferro. È come entrare in Amici Miei a zingarata già iniziata: arrivi tardi, ma ridi più forte di tutti.
Post-it per i neofiti: come provarla in negozio (checklist rapida – vietato suonare “Another One Bites the Dust”)

- Peso/bilanciamento: tracolla larga. Se non ti uccide dopo 10 minuti, siete compatibili.
- Elettronica: prova tone a 10 (single-coil) e a 5–7 (humbucker). Ascolta rumore quando splitti: è normale.
- Fase invertita: con entrambi i pickup, attiva lo switch e confronta: se senti il nasale, funziona
- Thump: palm-mute, neck in humbucker, tono chiuso: senti il pugno nello stomaco.
- Setup: cerca manico dritto e truss-rod reattivo; meccaniche fluide; ponte senza giochi. (La T-40 ama setup precisi quanto lei è massiccia.)
Quiz per capire quale basso anni ’80 puoi suonare
Che basso anni ’80 fa per te?
La Peavey T-40 è davvero la tua arma? · 10 domande (random da 200)
Davie504, slappa qui! (I challenge YOU)
Davie, lo so che stai leggendo—o che qualcuno ti taggherà. Ho spulciato la rete e non ho trovato un tuo video con la Peavey T-40 (se mi è sfuggito, slap me).
Quindi: smettila un attimo di frustare il solito J-Bass lucido, cercati una T-40 in finitura sunburst, alzala come fosse un dinosauro arrugginito e portala su YouTube. Falla parlare in fase invertita, splitta, fai thump cattivo, poi dichiarala outsider star.
Internet non è pronto; ma proprio per questo NE ABBIAMO BISOGNO.