“Impossible Mission è stato valutato con un incredibile 95%: un mix perfetto di grafica, suono e giocabilità che lascia stupefatti.” – Zzap!64 (Maggio 1985, Review by Gary Penn, Julian Rignall & Steve Jarratt)
Ricordo ancora la prima volta che giocai a Impossible Mission sul Commodore 64 di mio cugino. Rimasi folgorato, proprio come il protagonista quando veniva raggiunto dai robot.
Impossible Mission era un’esperienza antascientifica per l’epoca. I passi del mio alter ego echeggiavano nei corridoi digitali con un realismo incredibile, tanto che pareva di sentir risuonare davvero gli stivali sui pavimenti metallici del videogioco.
Muovendomi da una stanza all’altra con animazioni sorprendentemente fluide, potevo far compiere al personaggio eleganti salti mortali, perfettamente coreografati tra piattaforme e nemici meccanici letali. Poi c’era quella voce sintetizzata indimenticabile: “Another visitor… stay awhile, staaay forever!” – la risata malvagia del Professor Elvin Atombender che risuonava dagli altoparlanti del televisore mi fece gelare il sangue.
Impossible Mission fu uno dei primi giochi in cui il computer “parlava” davvero al giocatore, grazie a una primitiva sintesi vocale di sorprendente realismo per quei tempi.
Nei panni dell’Agente 4125, un agente segreto senza armi ma agilissimo, la missione di Impossible Mission era quella di infiltrarsi nel bunker sotterraneo di Atombender – uno scienziato pazzo deciso a scatenare un olocausto nucleare – e fermare il conto alla rovescia prima che fosse troppo tardi.
L’ambientazione di Impossible Mission era cupa e carica di atmosfera: un intrico di ascensori e stanze sorvegliate da robot assassini, punteggiato da effetti sonori inquietanti e dall’assenza di musica di sottofondo.
Impossible Mission combinava azione platform e enigmi originali: bisognava esplorare ogni stanza, evitare i nemici e cercare in armadi, tavoli e terminali dei frammenti di codice.
Assemblando i 36 frammenti trovati – come pezzi di puzzle – si otteneva la password segreta per sventare il piano di Atombender. L’idea di dover hackerare dei computer all’interno del computer (i terminali presenti in gioco) per ottenere vantaggi, come disattivare temporaneamente i robot o ripristinare le piattaforme, mi affascinava di brutto: era un concetto meta-ludico che accendeva l’immaginazione e aumentava la sensazione di trovarsi davvero in una base high-tech.
A colpire più di tutto era però la cura senza precedenti riposta in suoni e animazioni. Impossible Mission non aveva musiche, eppure non ne sentivamo la mancanza: gli effetti sonori erano talmente efficaci da sorreggere da soli l’intera atmosfera di gioco.

Il rumore dei passi nelle sale degli ascensori produceva un eco suggestivo e realistico, il ronzio robotico delle sentinelle metalliche metteva agitazione e il grido straziante che l’agente emetteva cadendo in un pozzo – un urlo degno del dipinto di Munch – ti faceva sobbalzare sulla sedia.
Anche sul versante grafico Impossible Mission era un top di gamma: il protagonista era animato in maniera incredibilmente fluida e naturale, con movenze plastiche ben al di sopra degli standard del tempo.
Vedere il mio avatar eseguire quelle capriole e falcate morbide – sfruttando ogni pixel disponibile del C64 – fu qualcosa che definire innovativo è poco.
Non a caso, le animazioni del personaggio di Impossible Mission divennero un modello da imitare, tanto da essere “rippate” in molti altri titoli successivi.
La combinazione di tutti questi elementi – azione arcade, strategia, enigmi e una presentazione tecnica all’avanguardia – rese Impossible Mission un’esperienza unica per i videogiocatori dell’epoca.
Non era però un gioco per tutti i palati: il suo target ideale era il giocatore paziente e riflessivo, più vicino all’utente da home computer che al ragazzino da sala giochi.
Era infatti anche un gioco difficilissimo. Girò perfino la leggenda che fosse davvero impossibile terminarlo a causa di un bug, voce smentita dalle riviste specializzate che all’epoca assicurarono ai lettori che “in effetti è possibile batterlo”.
Io stesso non riuscii mai a salvare il mondo neanche per sbaglio: l’enigma restò insoluto, aumentando ai miei occhi la statura mitica di questo gioco.
Nel 1988 arrivò Impossible Mission II, il seguito diretto. Lo aspettavo con trepidazione, deciso a prendermi la rivincita su Atombender. Lo ricevetti in regalo con l’acquisto del mio primo lettore floppy, dopo tanti anni di uso del glorioso mangianastri con contatore. Era un’interessante strategia di vendita dell’Asteroide, il negozio di giochi del Commodore 64 di Cesena negli anni ’80.
Questa volta il folle professore era tornato con nuove trappole nel suo covo. La fortezza stessa era cresciuta di scala: non più un singolo labirinto, ma diverse torri da esplorare, collegate fra loro da ascensori.
La ricerca dei pezzi di codice divenne ancora più articolata, arricchita da nuovi ostacoli e gadget da raccogliere.
Impossible Mission II era un gioco più grande e “pesante” – tanto che su C64 fu uno dei primi titoli a richiedere l’uso mandatorio del floppy disk.
Impossible Mission II si rivelò leggermente più facile del predecessore (almeno sapevo già cosa fare) , ma nonostante questo non riuscii mai a vedere la scena conclusiva, con Atombender in fuga.
Pur introducendo nuove idee, il sequel non ebbe lo stesso impatto rivoluzionario del primo episodio.
Impossible Mission era nato come opera unica e forse irripetibile: ancora oggi viene considerato un classico a sé stante, che non ha generato veri epigoni (se si eccettua il caso isolato del sequel stesso).
Perché Impossible Mission?
Il nome, fu scelto apposta per richiamare il famoso telefilm Mission: Impossible, invertendo le due parole per evitare problemi di copyright.
Al di là del titolo suggestivo e dell’ambientazione da spy-story (un agente segreto contro un supercriminale hi-tech), Impossible Mission non ha legami ufficiali con la serie Mission: Impossible.
Ciò nondimeno Epyx strizzò l’occhio al franchise: il packaging e il logo del gioco ricordavano deliberatamente quelli della serie TV originale, un astuto espediente di marketing per intrigare il pubblico.
Impossible Mission: le recensioni
“The speech and the scream really dropped me from my bench at the time… the animations and every single sound effect is so well executed, I was never as impressed with such things as with Impossible Mission.” – Lemon64

Sul piano dell’accoglienza critica, Impossible Mission fece subito centro. La rivista inglese Zzap!64 nel 1985 lo classificò al secondo posto tra i migliori giochi per Commodore 64 (i lettori lo votarono addirittura primo).
In Italia, nel 1990 la rivista K lodò la conversione per Master System definendolo “un gioco fantastico” sotto tutti i punti di vista – grafica, sonoro e giocabilità – destinato a diventare un classico.
L’articolista esaltò in particolare la resa perfetta dell’atmosfera attraverso effetti sonori e la qualità delle animazioni del protagonista e dei robot.
Anche oltreoceano il talento di Dennis Caswell fu riconosciuto: Compute!’s Gazette nel 1986 lo definì “una di quelle rare persone in possesso di tutte le capacità necessarie per creare e progettare un gioco eccezionale”.
Un classico intramontabile dei videogiochi
Impossible Mission resta un classico intramontabile. Ancora oggi rigiocarlo significa rivivere un’avventura rétro carica di atmosfera, capace di divertire e coinvolgere nonostante la sua età.
Come ammonisce la voce digitale di Elvin all’inizio: “Stay a while… stay forever!” – come nonrimanere ancora un po’ (se non per sempre) nei labirinti senza fine di questo piccolo grande capolavoro.