I sintetizzatori Roland sono il Santo Graal delle notti fluorescenti: quella macchina ha permesso a una generazione di alieni in camicia hawaiana e Ray-Ban a specchio di suonare l’inquietudine postmoderna e chiamarla pop.
Dimenticate le chitarre piangenti e gli assoli da Beppe Maniglia: negli anni ’80 la musica è stata decostruita e ricomposta da scatole grigie piene di circuiti, manopole e sogni in plastica.
Roland è stata la regina madre di questa mutazione, dispensando suoni che sembravano usciti da una macchina del tempo rotta.
“Take On Me” degli A-ha? Dietro c’è il Juno-60, una bestia analogica che suonava come se gli angeli stessero ballando su una navicella spaziale.
Sintetizzatori vs tastiere: definizioni e differenze
Facciamo chiarezza: un sintetizzatore è un generatore elettronico di suoni, non solo un contenitore di sample.
Al suo interno ci sono oscillatori (onde quadre, seghettate, sinusoidali e persino rumore) che vengono filtrati e modellati da inviluppi, LFO e altro.
In pratica, con un synth Roland puoi creare suoni da zero – bassi squillanti, pad spaziali, melodie psichedeliche – semplicemente regolando potenziometri e strutture elettriche.
Una tastiera spesso fa solo da interfaccia o riproduttore: nella maggior parte dei casi ha altoparlanti integrati e suoni già registrati (pianoforte, organo, archi…) pronti all’uso.
In altre parole, se premi un tasto sulla tastiera esce un suono fisso, mentre con un synth premi un tasto e stai ancora decidendo quale suono stai per ottenere.
Anche i tipi di sintetizzatori sono tanti.
- Ci sono i monofonici analogici (es. Minimoog) che suonano una nota sola per volta, molto usati per bassi e lead;
- i polifonici analogici (es. Roland Jupiter-8) con più voci, usati per accordi e pad armoniosi;
- i virtual analog o sintetizzatori analogici virtuali, digitali nel motore ma che emulano circuiti analogici (ad es. Roland JP-8000);
- i sintetizzatori digitali basati su campioni o FM, come il leggendario Yamaha DX7. In breve: analogici o digitali, mono o poli, basati su campioni o su sintesi FM/additiva… la varietà è enorme.
Oggi c’è persino chi studia “sintesi wavetable”, additiva, granulare… ma negli ’80 bastavano subtractive, sample-based e FM per scatenare l’inferno sonoro.
A cosa serve tutto questo? A dare forma ai suoni dell’immaginazione: dal funk al pop, dal rock alla techno.
I sintetizzatori permettono ai musicisti di generare e modificare qualsiasi rumore vogliano – dai clic metallici alle morbide nuvole di sinusoidi – con controlli precisi su attacco, decadimento, sustain e rilascio.
In studio o live, i sintetizzatori sono stati usati per sostenere melodie, creare tappeti di accordi mai uditi, imitare strumenti impossibili o semplicemente per fare rumore di grande effetto.
Sound designer e produttori moderni li adorano: i sintetizzatori sono per i sound designer e i produttori. Molti trailer cinematografici e canzoni pop dipendono proprio da suoni sintetizzati.
Chi usa i sintetizzatori? Praticamente chiunque nel mondo musicale contemporaneo. Negli anni ’80 erano in mano a tastieristi pop, new wave, italo-disco, prog-rock – basti pensare ai synth di Howard Jones o Yoko Ono.
Oggi il sintetizzatore è onnipresente: dai DJ dance alle colonne sonore dei film, dai remixer hip-hop ai chitarristi rock che vogliono un lead tagliente alla Space Invaders.
Come ricordano gli esperti, questi strumenti hanno trovato posto in ogni genere: molti produttori di musica da trailer e pop rendono le loro canzoni più ‘piccanti’ con suoni da sintetizzatori.
Anche senza saper leggere uno spartito, millennial e nostalgici scaricano app di synth nelle tasche: un paio di tocchi sullo smartphone e – boom – rieccolo, il suono anni ’80 che massacra l’arpa acustica.
10 album anni ’80 plasmati dai Roland
Il timbro Roland non è rimasto confinato allo studio del tastierista solista: si riversò nei dischi che hanno fatto la storia del decennio. Eccone dieci emblematici:
- A-ha – Hunting High and Low (1985) – contiene Take On Me, dove l’inconfondibile riff di synth è suonato proprio con il Roland Juno-60. L’album echeggia di arpeggi e pad luminosi che definiscono l’estetica synth-pop degli anni ’80.
- Duran Duran – Rio (1982) – il celebre brano omonimo apre con una linea pulsante costruita su un Roland Jupiter-4, come conferma l’ex-tastierista Nick Rhodes. L’intero album mescola ritmiche funky e tappeti sonori elettronici, grazie all’uso massiccio di synth Roland.
- The Human League – Dare (1981) – pietra miliare della new wave, basato interamente su sintetizzatori analogici, tra i quali spiccavano anche modelli Roland (come l’SH-101) che firmano hit come Don’t You Want Me.
- Pet Shop Boys – Please (1986) – il duo synth-pop britannico girò questo debutto con Roland Juno e Jupiter, ottenendo bassi scattanti e arpeggi pop che segnano tracce come Opportunities (Let’s Make Lots of Money).
- Alphaville – Forever Young (1984) – la title track e Big in Japan sfoggiano pad luminosi e bassi aggressivi tipici dei synth analogici Roland, eredità della scuola italo-disco che quell’album ha incrociato con la new wave.
- Soft Cell – Non-Stop Erotic Cabaret (1981) – contiene la hit Tainted Love, dove un Roland SH-101 e qualche oscillatore modulato conferiscono quel riff ipnotico dark-pop (anche se qui fu un Oberheim, l’SP-1200 del batterista fu accompagnato da nostri Roland). In generale il disco fa ampio uso di timbri elettronici analogici.
- Simple Minds – New Gold Dream (81–82–83–84) (1982) – synth-wave d’alto bordo: pad polifonici e leads nitidi (anche dei Roland Jupiter) illuminano tracce come Promised You a Miracle.
- Tina Turner – Break Every Rule (1986) – con produttori come Rupert Hine, Turner si affidò a synth digitali e analogici (tra cui Roland D-50) per aggiungere brillanti textures a canzoni rock e pop elettrici.
- Depeche Mode – Some Great Reward (1984) – prima inchiesta dark dei DM: il sapore synth-driven non è solo Korg e Moog, ma anche Jupiter-8 e Juno che aprono People Are People e vestono le basi elettroniche dell’album.
- Clio’s Follies – Frontier Discipline (1989) – questo disco gotico francese-celtico (prodotto da Stephen Hague) utilizza ampiamente synth Roland (fra cui Juno e D-50) per creare atmosfere misteriose.
Ognuno di questi album ha un’impronta elettronica ben marcata, e in molti di essi lo zampino di Roland è tangibile – a volte espresso direttamente nelle note di copertina o nelle interviste di sessione.
In qualche caso l’influenza Roland fu più “dietro le quinte”, ma alla fine l’effetto è sempre quello di un sound anni ’80 pieno di brio ed energia sintetica.
I modelli Roland più popolari
Jupiter-8 (1981) – Il mito dei synth analogici degli anni ’80. Otto voci polifoniche, doppio oscillatore per voce e un’interfaccia rivoluzionaria: fu tra i primi Roland senza preset predefiniti su pulsanti, ma interamente programmabile (e dotato di involucro in metallo e tastiera colorata). Lo hanno amato Tears for Fears, Journey, Depeche Mode e Ministry (solo per citare alcuni nomi). Unico nel suo genere, il Jupiter-8 regalava pad eterei e cuoi sintetici caldi: basti pensare all’intro di “Save a Prayer” dei Duran Duran (Jupiter-4) o agli accordi di “Love is a Battlefield” di Pat Benatar. Oggi è rarissimo e costosissimo, al pari di un quadro di Warhol.
Juno-60 (1982) – Fratellino del Juno-6, integrava otto memorie con le quali salvare fino a 56 patch. Già celebrato per il suo suono “chirurgico” e i filtri caldi, raggiunse la fama mondiale con “Take On Me” (A-ha). Quel riff di synth scintillante e le sue linee di basso flop&pop mostrano tutta la versatilità del Juno-60: se premi un tasto arriva un flauto digitale luminoso, premi un altro ti arriva un basso groovy da discoteca. Era facile da suonare e dal feeling immediato, per questo mancava di funzioni complesse (niente arpeggiatore integrato, solo inviluppo e LFO) ma conquistò i cuori con la purezza dei suoi timbri. Roland ci ricordò persino che il Juno-60 usava la sua porta DCB per parlare con altri sintetizzatori, precursore del MIDI in arrivo.
Juno-106 (1984) – Terzo Juno, sei voci analogiche come il 60 ma con implementazione MIDI completa. Grazie al MIDI poteva suonare in sincronia con drum machine e sequencer, divenendo amatissimo dai tastieristi pop e dance. Con “West End Girls” dei Pet Shop Boys e “People are People” dei Depeche Mode, tra gli altri, ci regala linee di basso pulsanti e accordi atmosferici impossibili da distinguere da suoni digitali. Anche la Juno-106, come il 60, è un suono emblema: morbida negli accordi, incisiva nei bassi, dotata di quell’aftertouch delicato che negli anni ’80 sembrava fantascienza.
Roland SH-101 (1982) – Un monosynth con 1 oscillatore (più sub-oscillatore), arpeggiatore e sequencer, concepito come synth portatile (portabatteria!). Diventò mitico per bassi squadrati e lead taglienti (pensate ai groove minimalisti dei Kraftwerk o alle linee acid nell’“Blue Monday” remix). Il suo suono semplice ma incisivo lo ha fatto amare nei club e nelle produzioni electro-pop. Pur essendo monofonico, rimane uno dei bass-synth più copiati e repack, anche oggi nelle boutique analogiche.
Roland TB-303 (1981) – Non chiamatela “basso”: il 303 è il papà dell’acid house. Nato come basso sintetico sequenziato, uscì con solo 5 voci e nessuna memoria, venduto come flop. Ma nell’underground di Chicago e Inghilterra divenne cult: infilato in sequenze ripetute, sfodera un suono risonante, modulabile e slurpante che definì pezzi come “Acid Tracks” dei Phuture. Il tuuul tuuul tuuul del suo filtro riconoscerete ovunque, dalla techno classica fino alle produzioni EDM che lo emulano. Lo spettacolare effetto “sdrucciolevole” si ottiene ruotando la cutoff mentre suona: una magia analogica che nessun basso elettrico ha mai dato. (Impossibile non includerlo nella rosa Roland nonostante sia tecnicamente un “bassline synthesizer”: la sua influenza anni ’80 fu colossale.)
Roland TR-808 (1980) – Il drummachine che cambiò la musica. Anche se non “suona” con una tastiera, il TR-808 merita il titolo di sintetizzatore per la sua architettura totalmente analogica. Lanciatissimo nel 1980, crea i famosi suoni di cassa profonda, clap frastagliato, hi-hat metallici e tant’altro – tutti generati da oscillatorini e sample rétro di ef
fetti. Il suo boom-pah ha ridefinito l’hip hop (pensate ai ritmi pionieristici di Afrika Bambaataa) e la dance elettronica (trance, techno, house primi anni ’90), dove si cercavano kick profondissimi. Ancora oggi basta ascoltare un bombo fatato di 808 per sapere esattamente chi è: Roland stesso celebra il 909 (“suona in ogni festival house e techno”), ma il 808 è altrettanto onnipresente. Nessun hardware analogico è così riconoscibile.
Roland TR-909 (1983) – Evoluzione ibrida del 808, con suoni di hi-hat e clap digitalizzati e kick ancora analogico. Ebbe più successo nelle prime scene techno e house europee. Pensate a “Energy Flash” di Joey Beltram o ai primi DJ di Detroit, lì c’è lo spirito di Roland 909. (Chiude il trittico delle drum machine Roland principe insieme ai modelli TR-707/727 usati per tracce latine/dance nel ’84, ma il 808/909 dominano la scena.)
Roland D-50 (1987) – Il primo super synth digitale di Roland, inaugurò la sintesi LA (Linear Arithmetic): combinava campioni brevi e filtri, creando timbri nuovi. Basti pensare ai preset “Fantasia” o “Staccato Heaven”, che sembravano pad analogici ma con un riverbero integrato. Lanciò suoni di ambient e voci evocative che sono ovunque nei pop anni ’90. Roland lo definì «pionieristico, capace di spaziare dal calore analogico a sonorità ultramoderne; i suoi preset Fantasia e Calliope hanno fatto da marchio di fabbrica di molti grandi successi dell’epoca».
Curiosità anni ’80: accanto a questi colossi Roland spuntarono anche strumenti curiosi di cui si parlò poco nei manuali ufficiali.
Album contemporanei degni di nota
Il suono Roland non è rimasto confinato agli anni ’80. Artisti recenti riscoprono quei timbri vintage con passione.
Prendete i Tame Impala: Kevin Parker ha ammesso che il suo album Lonerism (2012) è “il suono di me che scopre i sintetizzatori”.
I primi motivi scritti su un vecchio monosynth anni ’70 finirono proprio in Lonerism, definendo l’anima psichedelica del disco.
Allo stesso modo band come CHVRCHES o M83, e producer elettronici (da Flume a Daft Punk) usano Juno-60, Jupiter-8 e D-50 per richiamare quell’estetica anni ’80 in chiave moderna.
Il kit Roland di quel decennio – arpeggi, bassi elettronici e pad scintillanti – continua a materializzarsi nei singoli e nei film di oggi: i sintetizzatori permettono di creare tutte queste sonorità impossibili altrimenti.
Gli “Amici di Roland”
Chi è l’unico imputato per il sound degli anni ’80? Roland. I loro sintetizzatori hanno costruito le fondamenta del pop elettronico, scolpendo hit e tendenze che ancora oggi facciamo risuonare nei nostri auricolari.
Come scrissero gli esperti, questi strumenti si basano sulle infinite possibilità di progettazione del suono. Proprio così: grazie a Roland gli artisti hanno potuto modellare il proprio universo musicale. Persino ora, decenni dopo, ci ritroviamo a ricercare quel “tocco Roland” nei nostri mix.
Come disse Kevin Parker, “tutti quei synth, in Lonerism, definivano il suono di ogni canzone”.
Possiamo aggiungere che è successo anche in Rio, in Hunting High and Low, in centinaia di dischi anni ’80.
Roland ha consegnato al mondo un set di pennelli sonori indimenticabili. Oggi li ritroviamo, polverosi ma intatti, negli strumenti che continuano a farci ballare, sognare e volare anni luce lontano.
Roland non ha solo definito un suono. Ha definito un modo di pensare la musica. Dal synth analogico alla drum machine, ha plasmato una generazione che credeva nel futuro anche quando il futuro era una cassa dritta e un basso gommoso.
I suoni dei sintetizzatori Roland ci accompagnano ancora. Nei trailer. Nei club. Nelle cuffie di un ragazzino che non ha mai visto un Walkman ma quando ascolta un pezzo sente che c’è qualcosa che pulsa in un brano che no fa apparire unico. Quel qualcosa è Roland.