Nel panorama musicale degli anni ’80, affollato di lustrini, sintetizzatori e acconciature gravitazionali, gli Eurythmics sono stati una scossa elettrostatica: un duo capace di reinserire l’umanità nella macchina, di trasformare i bit in battiti e i riff in ossessioni collettive.
Annie Lennox e Dave Stewart, lei con la voce che sembrava scendere da un organo gotico e lui con la chitarra tenuta come una bacchetta da illusionista, si sono incontrati dopo lo scioglimento del gruppo “The Tourists” nel 1980. Da quel naufragio nacque una nuova geometria: una linea melodica e un cerchio emotivo.
Il nome del gruppo fu ispirato dal metodo di educazione musicale chiamato eurhythmics, basato sull’idea che il movimento sia espressione diretta della musica. E non è un caso: perché gli Eurythmics hanno sempre fatto muovere, non solo il corpo, ma anche il pensiero.
La loro musica ha saputo attraversare il synth-pop, il rock e la new wave con una capacità quasi mimetica, reinventandosi a ogni disco, a ogni tour, a ogni video.
Gli EurythmicsHanno parlato di amore, di pace, di giustizia sociale e lo hanno fatto sempre con uno stile impeccabilmente pop, senza mai sacrificare l’ambizione estetica o il potenziale emotivo.
Quello che segue è un viaggio tra le dieci canzoni più famose degli Eurythmics negli anni ’80. Dieci brani che hanno ridefinito il sound synth-pop dell’epoca, lasciando un’impronta tanto luminosa quanto indelebile.
1. Sweet Dreams (Are Made of This) – 1983
“Sweet Dreams (Are Made of This)” è la canzone più iconica degli Eurythmics è anche il loro biglietto da visita eterno. Un riff di sintetizzatore martellante, un ritmo ipnotico e la voce di Annie Lennox che è un misto di gelo e passione, come un’invocazione lanciata dall’interno di una cattedrale cyberpunk. “Sweet Dreams (Are Made of This)” non solo conquistò il mondo: lo riscrisse a colpi di loop.
Il brano fu composto in un momento di crisi creativa e personale. Dopo una serie di insuccessi, Stewart e Lennox avevano quasi abbandonato la musica. Fu allora che, in uno studio improvvisato, con strumentazione minimale e un registratore analogico, nacque il riff che avrebbe ridefinito l’intero panorama synth-pop.
La produzione volutamente cruda, quasi claustrofobica, esalta la sensazione di alienazione e desiderio che attraversa ogni strofa.
Il videoclip di “Sweet Dreams (Are Made of This)”, diretto da Chris Ashbrook, è diventato iconico per la sua estetica surreale e teatrale: Lennox, androgina, in abito maschile e capelli arancioni, sfida la normatività di genere ben prima che diventasse un tema mainstream.
I bovini in ufficio, i globi, le scrivanie vuote: ogni fotogramma è un simbolo di disconnessione e identità alienata nella modernità.
Qui c’è tutto: il tema del desiderio, la perversione del sogno, la distorsione della realtà. Ma soprattutto, c’è la consapevolezza che la musica può essere allo stesso tempo distopica e irresistibile.
Un inno alla sopravvivenza emotiva nel mondo del consumo, un brano che ha fatto scuola e che, ancora oggi, pulsa come un cuore sintetico nelle cuffie di ogni generazione successiva.
2. Who’s That Girl? – 1983
Dall’album Touch, “Who’s That Girl?” è un brano che affronta con audacia e ironia il tema della gelosia e dell’infedeltà, calandosi in una dimensione sonora sospesa tra mistero e sensualità.
Il ritmo pulsante, quasi minaccioso, è una progressione inquieta che si insinua sotto pelle, mentre la voce di Annie Lennox, a tratti sussurrata e a tratti accusatoria, gioca a nascondersi e rivelarsi tra i versi, come una sfida lanciata allo specchio.
Il brano, accompagnato da un videoclip visionario e teatrale, incarna una femminilità sfuggente e potentemente ambigua, tratto distintivo della poetica visiva degli Eurythmics.
Annie è una figura che muta forma: a volte fragile, a volte predatrice, mai prevedibile. L’effetto è quello di un thriller psicologico in formato pop, dove ogni nota è un indizio e ogni sguardo un depistaggio.
Musicalmente, “Who’s That Girl?” è costruita su una base elettronica stratificata, in cui il sintetizzatore si fa trama narrativa e non semplice ornamento. Stewart, con il suo tocco misurato e al tempo stesso inventivo, accompagna e contraddice la linea vocale, aggiungendo tensione e sottotesto.
“Who’s That Girl?” non è solo una domanda: è uno specchio rotto che riflette le nostre insicurezze, le paure di non essere abbastanza, o peggio, di essere trasparenti. Un piccolo noir musicale, dove ogni battito è una porta socchiusa sull’inconscio.
3. There Must Be an Angel (Playing with My Heart) – 1985
“There Must Be an Angel (Playing with My Heart)” è in inno all’estasi dell’amore, reso immortale dall’armonica celestiale di Stevie Wonder, che irrompe nel brano come un raggio di luce attraverso una finestra gotica.
Non si tratta solo di un duetto, ma di una comunione musicale in cui la voce di Annie Lennox si innalza con mistica intensità, sospesa tra gospel e pop barocco.
La melodia luminosa è un inno alla trascendenza dei sentimenti, sorretta da un arrangiamento orchestrale sontuoso che fonde archi sintetici e cori celesti, creando un universo sonoro che è insieme intimo e maestoso.
Il brano, tratto dall’album Be Yourself Tonight, segna un momento di svolta per gli Eurythmics, che abbandonano le freddezze del minimalismo elettronico per esplorare una dimensione più calorosa, quasi spirituale, del loro suono.
Lennox canta come se stesse canalizzando una rivelazione divina e il testo gioca tra il terreno e l’etereo, tra la carne e l’angelo.
“There Must Be an Angel (Playing with My Heart)” è più di una canzone d’amore: è un’esperienza estatica, una visione sonora di ciò che accade quando l’amore tocca il sublime.
4. Love Is a Stranger – 1982
Prima di “Sweet Dreams”, c’era questo: un brano disturbante e magnetico che gioca con il tema dell’attrazione come minaccia, come un incantesimo che non promette salvezza.
“Love Is a Stranger” è un pezzo di rara ambiguità, dove la voce di Annie Lennox si muove con una teatralità da attrice kabuki, passando da sussurri insinuanti a esplosioni di rabbia repressa.
La canzone racconta il fascino dell’amore che non consola ma consuma, un desiderio che non si lascia addomesticare.
Annie interpreta una figura che si fa desiderare e temere allo stesso tempo, l’amante che forse non amerà mai davvero.
Dave Stewart, dal canto suo, costruisce un paesaggio sonoro che è un labirinto di specchi: ogni synth rimbalza su un altro, creando riflessi acustici che disorientano e seducono.
Non c’è mai una linea retta in questa canzone, ma solo curve e deviazioni: è pop postmoderno che anticipa le inquietudini della fine del secolo.
Il video, con Lennox biondo platino e un look quasi alieno, completa l’opera: è la storia di una femme fatale digitale, inquietante e bellissima, simbolo dell’epoca in cui la musica iniziava a diventare immagine, e l’immagine a diventare mito.
5. When Tomorrow Comes – 1986
Una canzone ottimista, piena di speranza e resilienza, che cattura alla perfezione lo spirito del cambiamento.
“When Tomorrow Comes” è un brano che parla al cuore di chi ha affrontato cadute e sogna un nuovo inizio. La voce di Annie Lennox, calda e decisa, sembra cantare dalla soglia di un’alba emozionale, infondendo forza e positività.
Il ritmo vivace e la melodia ariosa la rendono ideale per accompagnare i momenti di svolta, le scene di film mentali in cui si parte, si corre, si riparte.
La struttura del brano richiama una progressione classica ma arricchita da una produzione cristallina che valorizza i dettagli: la batteria sincopata, le chitarre limpide, i cori di sostegno.
Pubblicata nel 1986 e inclusa nell’album Revenge, rappresenta l’anima più pop-rock degli Eurythmics, meno enigmatica e più diretta, senza per questo rinunciare a eleganza e coerenza stilistica.
L’energia del brano è contagiosa, quasi cinematografica, un invito a credere che, anche dopo notti difficili, qualcosa di buono possa ancora venire. Tomorrow, appunto.
6. Here Comes the Rain Again – 1984
Pioggia emotiva su un paesaggio elettronico: “Here Comes the Rain Again” è uno dei brani più poetici e stratificati degli Eurythmics, capace di evocare, come pochi altri, la malinconia urbana degli anni ’80.
La canzone si apre con una linea di archi sintetici che sembrano nuvole gonfie di ricordi, sospese sopra una metropoli interiore pronta a crollare sotto il peso dell’incomunicabilità.
Il testo, enigmatico e diretto al tempo stesso, riflette un bisogno disperato di connessione, di apertura emotiva, ma anche la paura del dolore che questa connessione potrebbe portare.
Annie Lennox canta con una dolcezza trattenuta, una voce che sembra parlare da una finestra chiusa durante un temporale: la vulnerabilità diventa bellezza, e la distanza, desiderio.
Dave Stewart, da parte sua, costruisce un arrangiamento che è un equilibrio millimetrico tra elettronica e orchestrazione classica, fondendo i due mondi come in un collage sonoro che vibra di tensione e sospensione.
Il brano è una meditazione malinconica sull’amore e sulla fragilità dell’umano, resa eterna da una produzione che, a quarant’anni di distanza, non ha perso un solo battito di cuore.
7. Missionary Man – 1986
Con questo brano gli Eurythmics flirtano con il blues, la revenge e l’ipocrisia dei predicatori moralisti, calandosi in una dimensione sonora densa, ruvida, quasi rituale.
“Missionary Man”, tratto dall’album Revenge, è una delle canzoni più dure e teatrali degli Eurythmics: un attacco frontale alle false morali, ma anche un gioco ironico e feroce contro la religiosità di comodo.
Il brano si apre con un groove minaccioso, una linea di basso che pulsa come una condanna, e prosegue con chitarre graffianti che sembrano sputare fuoco.
La ritmica tribale e insistente è un tamburo di guerra che accompagna la voce indemoniata di Annie Lennox: qui non c’è più spazio per la dolcezza, ma solo per il fuoco e lo zolfo.
Lennox canta come una profetessa visionaria, una Cassandra elettronica che strappa la maschera ai benpensanti.
Il videoclip, carico di simbolismo esoterico e visioni infernali, rafforza il messaggio: la religione come spettacolo, il dogma come messa in scena.
Dave Stewart si lancia in riff taglienti, mentre l’elettronica scompare sotto un’onda di blues contaminato.
“Missionary Man” è un rito di esorcismo: un brano che libera il corpo e la mente dalle ipocrisie imposte, a colpi di distorsione e verità gridate.
8. Would I Lie to You? – 1985
Rock puro, senza compromessi, ma con tutta l’eleganza distorta di cui solo gli Eurythmics erano capaci. “
Would I Lie to You?” è un brano che rompe la gabbia del synth-pop per tuffarsi in un rock chitarristico, potente, diretto, quasi da palco sudato e sigarette consumate a metà.
Annie Lennox canta con furore, con una voce che è insieme arma e dichiarazione d’indipendenza: ogni frase è una sfida, ogni nota è un passo in avanti in una marcia trionfale.
Dave Stewart costruisce un riff che è una colonna vertebrale di energia: robusto, deciso, perfetto per reggere il peso di un testo che parla di rottura, verità, liberazione.
Il video, un piccolo film noir in cui la tensione erotica e quella narrativa si fondono, mette in scena una fuga teatrale da una relazione tossica, con Annie in versione femme fatale e combattente.
Il brano segna una svolta anche estetica per il duo, che qui suona più vicino a Tina Turner che ai Kraftwerk, e dimostra ancora una volta la loro capacità di reinventarsi senza mai snaturarsi.
Un pugno elegante allo stomaco, ma anche una scrollata necessaria: ti sveglia, ti scuote, ti libera.
9. It’s Alright (Baby’s Coming Back) – 1985
Un brano meno conosciuto, ma prezioso come una promessa mantenuta sottovoce. “It’s Alright (Baby’s Coming Back)” è un inno al ritorno, alla fiducia, alla seconda chance che non si urla, ma si sussurra con convinzione. La voce di Annie Lennox è qui più dolce che mai, come una coperta tiepida in una sera incerta. C’è un senso di accoglienza, di attesa colma d’amore, che attraversa ogni verso.
La melodia è avvolgente, quasi liquida, costruita su un groove rilassato che richiama atmosfere soft-jazz e R&B, eppure senza mai abbandonare il cuore pop del duo.
Dave Stewart, con la consueta maestria, plasma una produzione pulita e minimalista, fatta di sfumature più che di colpi di scena, come se ogni suono fosse stato levigato a mano.
Il brano anticipa, in qualche modo, la sensibilità che esploderà nell’album Peace molti anni dopo: la ricerca di una tregua interiore, di un equilibrio ritrovato.
È una canzone da ascoltare in cuffia, in treno, mentre si torna a casa. Perché a volte, tornare è la cosa più rivoluzionaria che possiamo fare.
10. The Miracle of Love – 1986
Una ballata struggente che affronta il tema dell’amore come forza salvifica, in grado di curare le ferite dell’anima e, forse, anche quelle del mondo.
“The Miracle of Love” è una preghiera laica che si solleva piano, su una base di tastiere sognanti e arpeggi di chitarra sospesi nel tempo. Annie Lennox canta con una delicatezza trasparente che si trasforma, strofa dopo strofa, in potenza lirica pura: ogni nota è un atto di fede, ogni crescendo un abbraccio alla vulnerabilità.
Il video, ambientato in un mondo quasi post-bellico, dove tutto sembra disgregato ma non ancora perso, è una dichiarazione visiva di pace e giustizia sociale.
Volti segnati, paesaggi grigi, mani tese: ogni immagine è un tentativo di ricomposizione, di perdono, di rinascita.
La produzione del brano è essenziale e mirata, lasciando spazio al messaggio. Qui gli Eurythmics abbandonano ogni orpello per concentrarsi sull’essenza: l’amore, come miracolo, come gesto politico, come ultima speranza.
La voce di Annie raggiunge vette celestiali, ma è il silenzio che lascia dopo a parlare più forte: un invito a credere, ancora una volta, che la bellezza può salvare.
Poster

A volte mi chiedo se la musica possa davvero cambiare qualcosa. Poi ripenso a quel poster degli Eurythmics che avevo appeso sulla porta della mia cameretta, perché sulle pareti non si poteva (eravamo in affitto, “non si deturpano i muri” diceva mio padre).
Annie Lennox in quel vestito glitterato, sbrilluccicoso, sembrava venuta da un altro pianeta. Mia madre borbottò: “Chi è quella donnaccia?”. Ma io lo sapevo: era la musica, era energia, era libertà.
La cassettina di We Too Are One l’ho consumata nel mio Walkman, durante le gite, nei pomeriggi solitari, nei viaggi immaginari.
Ogni canzone era una finestra. Ogni riff, un respiro. Gli Eurythmics hanno segnato un’epoca, ma soprattutto hanno segnato chi siamo diventati.
Oggi Annie Lennox è una voce autorevole per i diritti umani, una cantante con una delle voci più potenti e riconoscibili della storia della musica.
Dave Stewart continua a produrre, scrivere, sperimentare. Gli Eurythmics si sono sciolti più volte, l’ultima definitivamente dopo Peace nel 1999, ma la loro eredità vibra ancora.
Gli Eurythmics non sono solo noti per i loro successi: sono popolari per aver saputo parlare a generazioni diverse, con linguaggi sempre nuovi. Hanno ridefinito il sound degli anni ’80 e ci hanno insegnato che il movimento è davvero espressione della musica. Come in quella vecchia idea “euritmmica” da cui tutto ebbe inizio.