In un mondo dove il rock era sinonimo di ribellione giovanile e libertà, nell’Unione Sovietica di Breznev e Gorbaciov il suono elettrico delle chitarre assumeva contorni mitologici.
Nessuno seppe incarnare questa mitologia meglio di Viktor Coj, il cantante dei Kino, la più grande icona del rock russo.
Morì giovane, in un incidente automobilistico nel 1990. Da allora la sua figura è divenuta leggenda, scolpita nella memoria collettiva di un’intera generazione.
“Uno a caso”? No, Coj è l’eroe nazionale per eccellenza, protagonista non solo di canzoni e dischi leggendari, ma di un’epoca intera: il rock nell’Unione Sovietica.
“Думаю, Виктор был голосом всей эпохи” — racconta Aleksey Vishnya, il fonico storico della band. (“Penso che Viktor sia stato la voce di un’intera epoca”). [Fonte: Intervista a Vishnya, Журнал Rolling Stone Россия, n. 34, 2014]
Nascita di un mito tra Leningrado e il Kazakistan

Viktor Robertovich Coj nasce a Leningrado nel 1962. Suo padre, Robert Maximovich Coj, era un ingegnere kazako di origine coreana, sua madre, Valentina Vasilyevna, una professoressa russa di educazione fisica.
La famiglia viveva in un ambiente modesto, in uno dei tanti quartieri popolari della città. Il ragazzo cresce in un’epoca grigia, dove l’arte era sotto la stretta sorveglianza della censura sovietica e le aspirazioni creative erano costrette a muoversi tra i confini rigidi del conformismo ufficiale.
Fin da studente mostra una fascinazione per la musica occidentale: Beatles, Led Zeppelin e Clash si insinuano nei suoi ascolti clandestini, ma anche Bob Dylan, Lou Reed e i Talking Heads. Disegnava copertine di album immaginari e teneva un diario musicale personale.
Come molti giovani della Leningrado di allora, Viktor Coj si sentiva attratto dal rock come via di fuga e forma di espressione autentica.
A diciassette anni entra alla Scuola d’Arte Serov, che però abbandonerà presto. Il sogno musicale inizia a prendere il sopravvento.
Scrive canzoni su fogli quadrettati, mescolando riflessioni sulla vita sovietica, sogni di libertà e immagini poetiche scarne ma evocative.
“Виктор слушал Джимми Хендрикса и знал тексты наизусть” — ricorda un suo compagno di liceo. (“Viktor ascoltava Jimi Hendrix e conosceva i testi a memoria”). [Fonte: Документальный фильм “Виктор Цой. Последний герой”, 2005]
1980 — Tbilisi-80! Il festival che fece la storia
“Vesennie ritmy, Tbilisi-80!” fu il primo festival rock semi-ufficiale dell’Unione Sovietica, organizzato nella capitale georgiana e con il benestare delle autorità culturali.
Si trattava di un evento senza precedenti: sul palco si alternarono band provenienti da tutta l’URSS, alcune delle quali osavano mescolare poesia, musica e denuncia sociale in modo mai visto prima.
Coj vi partecipò da spettatore, ma ne fu colpito profondamente. Rimase impressionato da come il pubblico reagiva, applaudiva, cantava e da come le band riuscivano a comunicare messaggi politici tra le righe, oltre la censura.
L’idea che il rock potesse avere un pubblico, una scena, una cultura, lo spinse a prendere sul serio Kino. Iniziò a immaginare concerti, album e tournée. “После Тбилиси я понял — музыка может изменить жизнь” — dichiarò in seguito.
(“Dopo Tbilisi ho capito — la musica può cambiare la vita”). [Fonte: Интервью с журналом Музыка и Время, 1987]
1981 — L’incontro con Rybin: nascono i Kino

Nel 1981, Viktor incontra Alexey Rybin, chitarrista autodidatta e impiegato come elettricista nei cantieri navali.
I due si trovano subito in sintonia, legati dalla passione per il rock underground e da una visione comune: creare una musica autentica, sincera, lontana dai compromessi imposti dal sistema sovietico.
Insieme formano una band dal nome mutante: inizialmente si chiamano Garin i Giperboloidy, ispirandosi al romanzo di fantascienza di Aleksej Tolstoj.
Solo in seguito scelgono Kino, un nome semplice, potente, universale. “Il cinema è il sogno collettivo di una nazione — spiegava Rybin — e noi volevamo creare un cinema sonoro per le strade di Leningrado”.
La band registra su nastro alcune canzoni con mezzi rudimentali: un registratore a bobine, microfoni improvvisati, stanze foderate di coperte per smorzare il riverbero.
“Registrato a casa” era quasi un’etichetta di qualità underground, sinonimo di sincerità, immediatezza e passione incontrollata. La voce di Coj emerge da quelle prime registrazioni come un sussurro carico di destino.
“Мы записывали ночью, шепотом, чтобы соседи не вызвали милицию” — disse Rybin. (“Registravamo di notte, sottovoce, per non far chiamare la polizia dai vicini”). [Fonte: Интервью Rybin, журнал Zvezda, 1996]
1984 — I primi dischi, la censura, la distribuzione non ufficiale
I dischi di Kino non uscivano tramite etichetta di stato. Venivano copiati, duplicati, distribuiti di mano in mano, su nastri magnetici che passavano da uno zaino all’altro nei dormitori universitari, negli spogliatoi delle fabbriche, nelle redazioni dei giornali alternativi.
Una vera e propria rete parallela, chiamata “magnitizdat”, alimentava la diffusione di musica proibita o non autorizzata.
L’album “Noch’” (Notte), pubblicato nel 1986, fu uno dei primi veri casi di successo nato da questa distribuzione alternativa: vendette centinaia di migliaia di copie nonostante la totale assenza di promozione ufficiale e una tiratura pressoché inesistente nei canali legali.
L’effetto fu esplosivo: da quel momento Kino divenne un simbolo nazionale, trasversale, suonato nelle radio clandestine e discusso nei programmi televisivi dell’emigrazione russa a Monaco e Parigi. “Ночь была настоящим откровением” — scriveva un critico del Samizdat.
(“‘Notte’ fu una vera rivelazione”). [Fonte: Архив самиздата СССР, сборник 1987]
1984 — Studio, pausa, ritorno: gli anni di Aleksey Vishnya e Tikhomirovio
Nel 1984 Aleksey Vishnya registra la band dei Kino nello studio Tikhomirovio, un appartamento adattato a sala di registrazione in un quartiere semicentrale di Leningrado, dove le pareti erano coperte da tappeti e coperte per insonorizzare.
È qui che Kino inizia a suonare come un gruppo maturo, lasciandosi alle spalle l’approccio naïf delle registrazioni casalinghe.
L’album registrato come quartetto vede Titov al basso e Guryanov alla batteria, mentre Yuri Kasparyan si conferma alla chitarra solista con un suono stratificato e preciso, capace di dialogare con la voce sempre più consapevole di Viktor.
La scaletta, curata direttamente da Coj con maniacale attenzione, si apre con brani che parlano di alienazione urbana, speranza e sogni spezzati: “Elektrichka”, “Myasnoy”, “Vremya est, a deneg net”. Ogni canzone diventa un piccolo manifesto generazionale.
“Мы работали по 12 часов без перерыва — Виктор знал, чего хотел” — ricorda Vishnya. (“Lavoravamo dodici ore senza sosta — Viktor sapeva cosa voleva”). [Fonte: Vishnya, intervista a Nashe Radio, 2001]
1987 — L’età d’oro: concerti, film, la consacrazione
(“Il rock è diventato un modo per parlare di ciò di cui tutti tacevano”). [Fonte: Moskovskie Novosti, n.12, 1988]
Nel 1987 i Kino diventano la band più seguita della Russia. Suonano al celebre stadio Luzhniki di Mosca davanti a decine di migliaia di giovani assetati di libertà, in un’atmosfera febbrile che mescolava entusiasmo giovanile e il sentore imminente di un cambiamento politico.
Il concerto al Luzhniki rappresentò uno spartiacque: mai prima di allora una band underground aveva avuto accesso a un palcoscenico tanto imponente.
Fu lì che Kino consacrarono la propria grandezza pubblica, trasformandosi da fenomeno clandestino a voce ufficiale di una generazione.
Nello stesso anno, partecipano al film “Assa” di Sergej Solov’ëv, dove suonano in una scena onirica e suggestiva che rimarrà tra le più iconiche del cinema sovietico degli anni ’80.
Poco dopo, Coj diventa protagonista in “Iglá” di Rashid Nugmanov: il suo volto magnetico e la sua voce spezzata incarnano perfettamente l’eroe disilluso della perestrojka.
Il rock, che per decenni era stato considerato una minaccia, diventa improvvisamente cultura russa ufficiale. “Рок стал способом говорить о том, о чём все молчали” — scrisse un critico di Moskovskie Novosti.
“Фильм был кульминацией эпохи” — dichiarò Nugmanov. (“Il film fu il culmine di un’epoca”). [Fonte: Интервью для France Culture, 1999]
1989 — Francia, Off The Track e la chiamata all’Ovest
“Цой был для нас как Курт Кобейн для вас” — scrive un giornalista francese. (“Coj era per noi quello che Kurt Cobain è stato per voi”). [Fonte: Le Monde, 1991]

Una piccola etichetta francese, Off The Track, pubblica “Posledniy geroy”, una raccolta di brani selezionati con l’intenzione di presentare il suono di Kino al pubblico occidentale.
È il primo vero successo internazionale del gruppo: la qualità delle registrazioni e l’intensità della voce di Coj colpiscono anche chi non parla russo.
Le vendite in Europa dell’Est, in particolare in Polonia, Germania e Francia, superano le aspettative dell’etichetta.
In quello stesso periodo, Coj registra anche un album in Lettonia, presso gli studi di Riga, approfittando di una maggiore disponibilità tecnica e di minori controlli ideologici.
È un momento di fermento: l’Unione Sovietica è in crisi, ma la sua musica viaggia oltre confine, trasportando con sé il bisogno di esprimersi liberamente e di comunicare una visione del mondo.
“Когда я услышал его голос по радио в Вильнюсе, я не понял ни слова, но понял всё” — scrisse un fan lituano. (“Quando sentii la sua voce alla radio di Vilnius, non capii una parola, ma capii tutto”). [Fonte: Lettera aperta al giornale Respublika, settembre 1989]
1990 — La giornata di pesca e l’incidente automobilistico
Il 15 agosto 1990 Viktor Coj muore in un incidente automobilistico nei pressi di Tukums, in Lettonia, mentre rientra da una giornata di pesca al lago.
Alla guida della sua Moskvitch-2141, secondo la ricostruzione ufficiale, si sarebbe addormentato al volante, finendo fuori strada e schiantandosi contro un autobus. Aveva 28 anni.
Aveva appena terminato le registrazioni vocali di quello che sarebbe diventato il suo ultimo album di inediti.
I nastri, recuperati dall’auto, furono conservati gelosamente da Yuri Kasparyan. I fan, scossi e increduli, iniziarono a diffondere teorie di complotto: alcuni ritenevano che la morte fosse stata orchestrata dai servizi segreti per mettere a tacere un simbolo troppo potente, altri parlavano di sabotaggio.
La verità più probabile, confermata anche dai medici legali, parla di una curva pericolosa, stanchezza accumulata e un colpo di sonno.
In un’epoca in cui la fiducia nelle istituzioni era in frantumi, anche la realtà più banale appariva sospetta.
“Он погиб, как герой, на пике славы” — dirà Kasparyan. (“Morì come un eroe, all’apice della gloria”). [Fonte: Интервью с NTV, 2000]
2018 — Il film Leto: nostalgia e revisionismo
“Quella è stata la moda più reazionaria e insignificante della storia!” — esclama un intellettuale su Novaya Gazeta. “Che cazzo è quella roba? Va bene, va bene, lo sapevo che non dovevo divagare di nuovo! D’ora in poi mi atterrò ai fatti nudi e crudi”.
Nel 2018 il film Leto di Kirill Serebrennikov riporta Coj nel mainstream. La pellicola — girata in gran parte in bianco e nero e arricchita da inserti musicali visionari — ricostruisce i primi anni della scena rock di Leningrado e il triangolo artistico-sentimentale tra Viktor Coj, Mike Naumenko e la compagna di quest’ultimo, Natalia.
Leto fonde realtà e immaginazione, documentario e finzione, offrendo una narrazione alternativa ma emotivamente intensa della nascita del mito Kino.
La rappresentazione lirica e volutamente stilizzata ha diviso la critica: da una parte chi l’ha definita una celebrazione poetica, dall’altra chi ha visto nel film un’operazione estetizzante e troppo distante dal contesto storico reale.
“Это кино о чувствах, а не о фактах” — scrive il regista in una nota. (“Questo è un film sui sentimenti, non sui fatti”). [Fonte: Lettera di Serebrennikov al Festival di Cannes, 2018]
Anni 2000 — L’eredità: dischi, monumenti, francobolli
Dopo la morte di Viktor Coj, i Kino diventano leggenda. In Russia compaiono monumenti, francobolli, piazze e strade dedicate a Coj: da San Pietroburgo a Vladivostok, il suo nome viene inciso sulla pietra e nella toponomastica, come quello di un patriota.
Tra le più celebri, la parete di Viktor Coj in via Arbat a Mosca, ricoperta di scritte e fiori lasciati ogni anno dai fan, è diventata luogo di pellegrinaggio.
I suoi dischi sono ristampati in edizioni rimasterizzate, spesso accompagnati da booklet rari e fotografie inedite.
Le sue canzoni vengono reinterpretate da artisti russi e internazionali: da Zemfira a Mumiy Troll, fino a band indie occidentali che riscoprono la carica esistenziale del suo songwriting.
Il mito non sbiadisce. Al contrario, continua a generare nuovi significati per ogni epoca. “Цой жив” — Coj è vivo — è ancora oggi una delle scritte più diffuse sui muri della Russia post-sovietica.
Anni 2020 — Profondità lirica, potenza sonora

Le canzoni di Coj univano semplicità melodica a una profondità lirica rara. Parlavano ai giovani, ai mocciosi impertinenti, ma anche ai padri.
Ogni verso sembrava contenere il peso di un secolo. Dietro la linearità delle armonie si nascondeva un universo di significati, spesso espressi in immagini scarne e folgoranti: il treno che non si ferma, la stazione deserta, la stella che porta il nome del sole.
Elementi minimi, ma capaci di evocare emozioni complesse, malinconie collettive, rabbia trattenuta.
“Он писал просто, но за каждым словом была тишина всей страны” — ha detto una volta il poeta Lev Rubinštejn. (“Scriveva in modo semplice, ma dietro ogni parola c’era il silenzio di un intero Paese”). [Fonte: Интервью с Радио Свобода, 2002]
Era una poesia della sottrazione, quella di Coj. E proprio per questo risultava universale: non c’era bisogno di codici, bastava ascoltare.
Le sue frasi lasciavano spazio all’ascoltatore, erano come specchi in cui ciascuno poteva riflettersi. Nessuna ideologia, solo la vita. Una vita fatta di attese, sogni, disillusioni — e una voce che sembrava cantarle tutte, insieme.
Coj oggi: l’eroe nazionale continua a vivere nella cultura russa
Coj è ancora vivo, nella cultura russa, nelle playlist, nei film. Le nuove generazioni lo scoprono online, suonano i suoi pezzi nei sottopassaggi, lo considerano una bussola morale.
Sui social, l’hashtag #ЦойЖив continua ad apparire sotto foto di graffiti, tatuaggi, chitarre e manifestazioni civili: il suo volto è diventato un’icona popolare, ma non addomesticata.
Negli ultimi anni, la band Kino si è riformata per una serie di spettacolari concerti dal vivo dove la voce di Viktor viene riprodotta isolandola digitalmente dai vecchi nastri, grazie all’intelligenza artificiale.
Coj appare come una presenza virtuale, tra luci, schermi e un pubblico che ancora oggi canta a memoria ogni verso. Non è nostalgia, è resistenza culturale.
“Это не просто концерт, это диалог поколений” — ha detto Yuri Kasparyan. (“Non è solo un concerto, è un dialogo tra generazioni”). [Fonte: Интервью с телеканалом Дождь, 2021]
Discografia dei Kino
- 45 (1982)
- Načal’nik Kamčatki Начальник Камчатки (1984)
- Eto ne ljubov’… Это не любовь.. (1985)
- Noč’ Ночь (1986)
- Gruppa Krovi Группа крови (1988)
- Zvezda po imeni Solnce Звезда по имени Солнце (1989)
- Černyi al’bom Чёрный альбом (1990)
Viktor Coj non fu solo il cantante dei Kino. Fu il simbolo di un risveglio collettivo, la primavera della coscienza giovanile nell’ultimo impero comunista d’Europa. Le sue parole e le sue note continuano a risuonare — tra vecchi nastri, sessioni di registrazione e il sussurro eterno di una chitarra nel buio.
E questa, mocciosi impertinenti, è storia vera.