Quando il talento incontra l’ascolto giusto, può nascere una rivoluzione silenziosa.
Era il 1973. David Gilmour, già chitarrista consacrato dei Pink Floyd, attraversava un momento di respiro creativo.
Aveva appena terminato le session di The Dark Side of the Moon, eppure non smetteva di ascoltare musica nuova.
David era un artista nel pieno della fama, ma anche un uomo attento, quasi ossessionato dall’idea di riconoscere il talento nascosto prima che diventasse leggendario, come era d’altronde accaduto con l’ex allievo Syd Barret.
Fu un conoscente comune, Ricky Hopper, a fargli ascoltare una demo registrata in casa da una ragazza di Welling, nel Kent. Si trattava di una registrazione gressa, solo voce e piano. Quella voce non era semplicemente incantevole. Era straniante, teatrale, ricca di una forza primigenia, quasi sovrannaturale. Gilmour ne rimase ipnotizzato. Voleva conoscere quella cantante.
Qualche settimana dopo, David entrò nel salotto dei Bush, trovandosi davanti una strana ragazza scalza, seduta con le gambe incrociate davanti a un pianoforte verticale. Nanche fosse Lucio Corsi i concerto!
Kate aveva sedici anni, scriveva poesie fin da bambina e viveva in un mondo scritto da Shakespeare, diretto da Hitchcock e benevolmente governato dalla mitologia celtica. Suonava, cantava e già allora sembrava provenire da un’altra dimensione.
Quando Kate intonò le prime note, Gilmour comprese immediatamente che il suo compito non quello di insegnante, ma di mentore.
In quel momento – mai immortalato da fotografie – prese forma la scintilla da cui sarebbe nata una delle carriere più uniche della storia pop britannica.
L’arte dello scouting, secondo Gilmour
La prima demo professionale fu finanziata da David stesso, registrandola agli AIR Studios con la collaborazione dell’arrangiatore Andrew Powell.
Il nastro giunse alla EMI e Kate firmò un contratto a lungo termine. La casa discografica, inizialmente confusa dal suo stile, si fidò dell’intuito di Gilmour. Un vero mentore non impone la sua visione: riconosce quella del talento che sta seguendo per dargli spazio.
Fu così che David Gilmour e Kate Bush, senza mai diventare una coppia artistica fissa, rimasero legati da una stima profonda. Lui vegliava a distanza mentre lei infondeva vita al suo piccolo universo.
Cime tempestose: magico esordio in quattro ottave
Nel 1978 uscì il singolo di Kate Bush Wuthering Heights, ispirato al romanzo Cime tempestose di Emily Brontë. Una canzone ineffabile, cantata con una voce che toccava quattro ottave, farcita di parole desuete, giri armonici imprevedibili e una teatralità spinta all’estremo. La gente si divise: chi la amava alla follia, chi non capiva. Tutti ne parlavano.
Era un esordio che non cercava il consenso, ma creava un mondo a sé. Un mondo che Gilmour aveva visto nascere e deciso di aiutare a schiudersi, senza mai chiedere niente in cambio.
Babushka e il tema del doppio
Due anni dopo arrivò Babooshka, una delle sue canzoni più iconiche e radiofoniche. Dietro la melodia orecchiabile si nascondeva una piccola tragedia domestica: una donna insicura che si finge amante per mettere alla prova la fedeltà del marito. Un tema perfettamente bushiano: il travestimento, il doppio, l’identità distorta.
Nella canzone ritroviamo quel senso di narrazione che Pink Floyd e Gilmour avevano sempre cercato, seppur su altri registri.
Pink Floyd: fratture, filosofia, traguardi e ferite
Proprio in quegli anni, intanto, Gilmour viveva un momento difficile all’interno della band. Il rapporto con Roger Waters si logorava.
Le tensioni esplosero durante la realizzazione di The Wall. Waters, visionario e dispotico, pretendeva un controllo totale. Gilmour, più incline alla melodia e all’equilibrio, desisteva. Litigarono per visioni artistiche opposte su come portare avanti il progetto Pink Floyd: le suggestioni distopiche e violente di Waters contrastavano una ricerca sonora più emozionale da parte di Gilmour,
Il divorzio fu inevitabile. Waters lasciò la band nel 1985. Gilmour la portò avanti, ma il senso di rottura non si ricucì mai del tutto.
La quiete e il suono: dove vive oggi Gilmour

Dopo le fratture, i tour e i successi, David Gilmour ha scelto la discrezione. Non quella del ritiro, ma quella dell’essenziale.
Oggi vive tra Londra e Hove, una tranquilla cittadina costiera nel Sussex, in un ex teatro riconvertito in studio di registrazione. Un luogo carico di storia, dove il suono ha ancora il tempo di nascere senza l’urgenza della pubblicazione. Il mare è vicino, e forse è anche per questo che le sue chitarre continuano a cantare come onde che si ritirano lentamente.
La casa di David non è un rifugio, ma un osservatorio. Gilmour continua a suonare, a produrre, a dare spazio a nuovi progetti.
Ogni tanto appare dal vivo, ma sempre con misura. Il suo volto è quello di un uomo che ha scelto la sottrazione come forma superiore di presenza.
In un mondo musicale spesso ossessionato dal protagonismo, lui resta l’esempio di come il suono possa parlare da solo, senza proclami.
Gli eredi del suono: cosa fanno i figli di David Gilmour

La biografia di David Gilmour si intreccia con una vita familiare ricca, complessa, mai ostentata.
David Gilmour ha avuto otto figli da due matrimoni. Alcuni hanno deciso di restare nell’orbita dell’arte: Joe Gilmour ha intrapreso la carriera di batterista e Gabriel ha esplorato il mondo del teatro e della regia. Altri hanno preferito percorsi lontani dai riflettori.
Ciò che accomuna tutti è un’educazione fondata sul rispetto della creatività e della libertà espressiva.
Gilmour non ha mai imposto il peso del proprio nome. Si p sempre offerto come un maestro, un aiuto, lasciando che ciascuno trovasse la propria voce.
Se parte della propensione alla musica può essere ereditata, in casa Gilmour scorre più come un fiume tranquillo che come un’impetuosa cascata artificiale.
Il legame tra arte e famigli non è mai stato spettacoloarizzato. È rimasto qualcosa di privato, intimo. Come una ghost track nascosta tra le pieghe di un vinile.
La sacerdotessa invisibile: la vita privata di Kate Bush

Se Gilmour è diventato il saggio silenzioso del rock, Kate Bush è rimasta la sacerdotessa del mistero. Dopo il grande successo degli anni ’80, Kate ha scelto consapevolmente di scomparire. Non in senso assoluto, ma in modo decisamente radicale. Nessuna apparizione pubblica, nessun post sui social network, nessuna partecipazione a eventuali reality show sulla sua vita.
Kate Bush vive in una zona isolata del sud dell’Inghilterra, in una casa immersa nella natura, con il marito Dan McIntosh, chitarrista che ha spesso collaborato con leie il figlio Albert, che ha preso parte anche ad alcuni suoi progetti.
La sua casa è descritta come un luogo senza tempo, dove ogni oggetto racconta una storia, dove il silenzio non è assenza ma atmosfera.
Nel 2014, a distanza di 35 anni dall’ultima volta, Kate tornò dal vivo con una serie di concerti a Londra: Before the Dawn. I biglietti andarono esauriti in pochi minuti.
Nessuna tournée, nessun live album promozionale. Solo un’apparizione intensa, rituale.
Un legame eterno, senza note condivise
Il legame artistico tra David Gilmour e Kate Bush è più profondo di molte collaborazioni discografiche.
La loro è una storia di ascolto reciproco, di rispetto, di invisibile ma indissolubile sintonia. È una storia che ci ricorda che l’arte vera ha bisogno anche di silenzi, spazio, tempi, attese, un passo indietro per far brillare l’altro. La musica non è sempre scaturisce da un suono: a volte, vive in gesti invisibili.
Tra tutte le pagine della musica britannica, quella che racconta di David Gilmour e Kate Bush continua a risplendere. Non per ciò che è stato inciso, ma per tutta l’energia che è stata libera di sprigionarsi e risplendere.