C’era una volta, in un tempo sospeso tra la fantascienza pop e il buddhismo da edicola, un giovane mangaka dal talento irriverente e dalla matita fulminea: Akira Toriyama.
Se vi chiedete quando il mondo ha incontrato per la prima volta Dragon Ball, la risposta sta in una data che oggi pare scolpita nei registri dell’immaginario collettivo: 20 novembre 1984.
Fu quel giorno che, tra le pagine dello storico settimanale “Weekly Shonen Jump”, comparve il primo capitolo di quella che non era ancora una saga planetaria, ma solo una curiosa variazione su “Viaggio in Occidente”, con un ragazzino dalla coda di scimmia e una sfera misteriosa.
La genesi di un mito

Per comprendere davvero l’origine di Dragon Ball bisogna fare uno sforzo di contestualizzazione storica.
Il Giappone degli anni Ottanta era in pieno boom economico, Tokyo brillava come una metropoli cyberpunk prima che il termine diventasse di moda e l’industria dell’intrattenimento stava germogliando in direzioni impreviste.
In questo contesto, Akira Toriyama era già noto per un’altra creatura scanzonata: Dr. Slump, manga umoristico che gli aveva garantito fama e credito presso la Shueisha.
Toriyama, tuttavia, era un artigiano della sorpresa, e quando propose Dragon Ball mescolò arti marziali, folklore cinese, fantascienza e un erotismo adolescenziale che oggi farebbe arrossire i paladini del politicamente corretto.
Il primo Dragon Ball fu una scintilla istintiva, un gioco alchemico di generi e toni.
Il primo capitolo: un seme di caos e meraviglia

Il primo capitolo racconta l’incontro tra Bulma, una ragazzina tecnologica e urbana, e Son Goku, un orfano selvatico e fortissimo che vive tra le montagne. È uno scontro tra mondi, tra civiltà e natura, tra ingegno e forza bruta.
Soprattutto, è l’inizio di una storia che avrebbe attraversato decenni, reincarnazioni, e livelli di potenza che sfidano la logica termodinamica.
Come curiosità quasi sconosciuta, va ricordato che Bulma apparve per la prima volta in TV in un episodio di “Lamù (Uruseiyatsura)”, la celebre serie tratta dal manga di Rumiko Takahashi. L’episodio in questione è il numero 194, trasmesso il 14 settembre 1984: vi compare un personaggio con l’aspetto identico a Bulma, con i suoi tipici capelli azzurri e l’outfit fantasy-sportivo.
Era un cameo giocoso, un piccolo omaggio — o forse una burla — tra due rivali editoriali. Non è mai stato chiarito se fosse stato autorizzato, ma è probabile che si trattasse di una collaborazione estemporanea tra i due studi di animazione, come spesso accadeva in quel periodo di fervore creativo.
Lo stile narrativo di Toriyama era diretto, slapstick, quasi da commedia dell’arte. Eppure, dietro la leggerezza si celava una precisa filosofia orientale: il superamento dei limiti, la crescita interiore, l’eterno ritorno dell’eroe.
1986: il manga di Dragon Ball diventa un anime
Il successo editoriale di Dragon Ball fu immediato, e la macchina produttiva nipponica si mise in moto per la sua trasposizione animata.
Nasce così nel 1986 il primo anime di Dragon Ball, che riprende le vicende del manga fino al 23° torneo Tenkaichi. La serie è composta da 153 episodi, ovvero una sola stagione secondo la classificazione giapponese, ma divisa in archi narrativi ben distinti.
L’anime aggiunge colore, ritmo e una colonna sonora indimenticabile, ma soprattutto diffonde l’opera oltre il Giappone, facendo di Dragon Ball un linguaggio comune tra generazioni e continenti.
L’ordine cronologico della serie Dragon Ball
Per chi si avvicina oggi alla saga, l’universo di Dragon Ball può apparire labirintico. Ecco l’ordine cronologico consigliato:
- Dragon Ball (1986) – La giovinezza di Goku e la ricerca delle Sfere del Drago.
- Dragon Ball Z (1989) – L’epopea cosmica: Saiyan, Freezer, Cell e Majin Bu.
- Dragon Ball Super (2015) – Gli dei della distruzione, i multiversi, il Torneo del Potere.
- Dragon Ball GT (1996) – Considerato non canonico, ma amato da una parte dei fan.
- Dragon Ball Heroes (2018) – Spin-off promozionale, caotico e iperbolico.
- Dragon Ball Daima (2024) – Serie celebrativa e in parte “what if”, in cui Goku e gli altri protagonisti vengono trasformati in bambini per cause misteriose. Akira Toriyama ha partecipato attivamente alla sceneggiatura e al design, conferendogli uno stile che richiama le origini ma con una regia moderna e ritmata.
Come è morto Akira Toriyama?
La notizia è arrivata nel marzo del 2024 come un fulmine in un cielo sereno. Akira Toriyama è morto all’età di 68 anni a causa di un ematoma subdurale acuto. Una perdita che ha colpito profondamente il mondo dell’animazione, della letteratura disegnata e, più in generale, chiunque abbia mai cercato le Sfere del Drago nella propria infanzia.
Eppure, come ogni grande maestro zen, Toriyama ha lasciato opere capaci di vivere ben oltre la carne.
L’alchimia perfetta

Cos’ha reso Dragon Ball immortale? Non solo la forza bruta, ma l’umorismo disarmante, la capacità di prendersi gioco dei suoi stessi cliché, l’umanità dei personaggi e quella miscela di pathos e leggerezza che solo i grandi narratori sanno dosare.
Toriyama ha creato una saga che parte da un eroe con la coda e arriva a combattere divinità interdimensionali, ma senza mai perdere il senso del gioco.
Ogni saga, ogni trasformazione, ogni nemico – da Pilaf a Jiren – è un simbolo di crescita, di sfida, di conoscenza.
L’eco nella cultura pop

Dragon Ball ha influenzato tutto: videogiochi, moda, sport, linguaggio. Se oggi diciamo “il suo livello oltre 9000!!”, è perché Vegeta ha fatto scuola. Se i calciatori esultano come Goku che carica una Kamehameha, è perché Toriyama ha riscritto i codici della potenza visiva.
E non dimentichiamo che il primo Dragon Ball è anche uno specchio dell’infanzia perduta, di un’epoca in cui bastava una nuvola d’oro per volare e un bastone allungabile per difendere ciò che conta.
La stagione del 1986: un’epopea compatta
Molti si chiedono: quante stagioni ha Dragon Ball del 1986? Tecnicamente, una sola, composta da 153 episodi. Ma sarebbe più corretto parlare di cinque grandi archi narrativi:
- Saga di Pilaf
- Primo Torneo Tenkaichi
- Saga dell’Esercito del Fiocco Rosso
- Saga di Uranai Baba e Tenshinhan
- 22° e 23° Torneo Tenkaichi
Questa struttura modulare ha permesso a Dragon Ball di crescere insieme al suo pubblico, adattandosi e trasformandosi con esso.
Dragon Ball, la “storia infinita”

A distanza di decenni, Dragon Ball continua a risplendere come un’antica lanterna cinese, sospesa tra le pieghe del tempo.
La sua nascita nel 1984 non è soltanto una data, ma un punto di origine da cui si dipana un universo in continua espansione.
Akira Toriyama ci ha insegnato che ogni battaglia è un’occasione per migliorarsi, ogni nemico un maestro travestito, ogni desiderio un’eco del nostro vero sé. In questo, forse, Dragon Ball è molto più di un manga: è una forma di filosofia pop, un Tao dell’azione che colpisce al cuore (dei fan).
La saga di Dragon Ball è già proiettata verso nuovi orizzonti grazie all’assistente diretto di Toriyama, Toyotaro, che sta proseguendo il fumetto di Dragon Ball Super con rispetto, audacia e una visione che fonde fedeltà e innovazione.
L’opera non si limita a sopravvivere, evolve, continuando a parlare a nuove generazioni con la stessa energia primordiale di quel lontano 20 novembre 1984. Se c’è una cosa che Dragon Ball ci insegna è che i miti non muoiono mai. Al massimo raggiungono una forma!