Era l’anno 1983 quando nelle sale giochi avvenne una rivoluzione: un gigantesco cabinato chiamato “Dragon’s Lair” rapì l’attenzione di migliaia di giovani e meno giovani, promettendo di fondere il fascino cinematografico del cartone animato con un’esperienza ludica interattiva.
Quel primo lasergame – termine allora misterioso e affascinante – fu un autentico spartiacque nel genere arcade, una pietra miliare del gaming divenuta subito leggenda.
Non bastava più un singolo gettone: la macchina – avidamente – ne pretendeva due. Ricordo bene quella sala giochi di Cesenatico. Un televisore era stato posto sopra al cabinato affinché la folla potesse ammirare la meravigliosa – benché difficilmente interattiva – animazione avveniristica di Dragon’s Lair.
Giocare significava entrare in una sfida impari, dove memorizzare ogni frame e reagire con joystick e pulsanti nel momento esatto era fondamentale.
Ogni errore veniva brutalmente punito dalla scheletrizzazione immediata del protagonista, il coraggioso cavaliere Dirk.
Il fascino delle sale giochi e l’irruzione del Laser Game
Prima del 1983, le sale giochi erano luoghi di rumore, luci intermittenti e suoni elettronici monotoni, popolati da avventurieri digitali impegnati a salvare donzelle virtuali, esplorare castelli pixelati o sfidarsi a suon di record. Dragon’s Lair cambiò tutto questo: la sua grafica – tratti distintivi dei disegni di Don Bluth, già celebre per classici come “Brisby e il segreto di NIMH” – sembrava provenire da un futuro remoto.
Spettatori occasionali si radunavano in massa intorno al giocatore, impedendo ai più lontani di ammirare quella magia.
Dragon’s Lair era così difficile che spesso il gioco si riduceva a guardare gli altri perdere denaro, trasformandolo in una macchina mangiasoldi per eccellenza.
La leggenda era nata, e dopo “Dragon’s Lair” arrivò anche “Space Ace”, altrettanto affascinante e fuori di testa, un lasergame ambientato nello spazio che contribuì ulteriormente al mito.
Dragon’s Lair è stato recentemente omaggiato nella celebre serie TV “Stranger Things”, restituendo perfettamente al pubblico moderno tutto quel senso di meraviglia che aveva caratterizzato la sua uscita originale.
La grande illusione: Dragon’s Lair su Commodore 64
L’annuncio dell’arrivo di Dragon’s Lair per Commodore 64 fu accolto con immensa eccitazione e altrettanta diffidenza. Poteva un piccolo e modesto home computer come il Commodore 64, uscito nel lontano 1982 e destinato a diventare il più venduto nella storia con circa 10.000 giochi disponibili, replicare la magia del lasergame che aveva fatto sognare generazioni intere? Ovviamente no, ma l’illusione era irresistibile.
Ricordo con tenerezza e frustrazione quei lunghi pomeriggi passati a regolare le testine del datassette, sperando che la cassetta di Dragon’s Lair si caricasse senza errori.
La schermata introduttiva era accompagnata da una musica iconica e malinconica, che anni dopo, ne sono convinto, avrebbe ispirato “2010” di Cornelius, tratta dall’album Fantasma.
I tempi di caricamento erano biblici, tali da permetterti di andare in cucina, preparare una merenda, tornare in camera e ritrovare ancora sullo schermo quella disperata scritta lampeggiante “Loading…”.
Gameplay: frustrazione e fascino arcade
Una volta caricato il gioco, si scopriva subito una cruda verità: la versione Commodore 64 di Dragon’s Lair non aveva nulla a che vedere con il laser disk. Niente animazioni fluide, niente fotogrammi da film, ma un gameplay in stile arcade ridotto ai minimi termini, dove il player doveva anticipare ogni ostacolo con precisione millimetrica.
In breve, era difficile almeno quanto la versione da sala giochi, seppur priva della bellezza grafica originale.
Eppure, aveva un suo fascino perverso: superare anche solo una stanza era motivo di festa, tanto era alta la difficoltà.
Dragon’s Lair su Commodore 64 fu una piccola delusione e al tempo stesso una lezione di vita: a volte, ciò che conta – più della realizzazione di un sogno – sono l’attesa e il desiderio di sognare.
Retromania, retromania canaglia
“Dragon’s Lair” per Commodore 64 non fu certo il successo sperato, ma resta comunque una pietra miliare della memoria collettiva. È il simbolo perfetto della tensione tra desiderio e realtà, tra l’attesa infinita dei caricamenti e la difficoltà esasperante di un gameplay che sembrava fatto apposta per mettere alla prova pazienza e tenacia.
Chissà. Forse un giorno una Playstation 6000 potrà regalarci ancora quel medesimo stupore, riportandoci alla magia innocente e irripetibile dei nostri sogni più belli.