Come il Diavolo di Hell’s Kitchen è rinato tra i murales del Bronx e i fantasmi del passato
Ogni eroe ha la sua caduta. Ma cadere è un buon punto di partenza per alzarsi in piedi e rinascere.
Così, nel cuore pulsante di Hell’s Kitchen, tra palazzi fatiscenti e anime dannate, Daredevil ha trovato il suo inferno personale – e il suo paradiso narrativo – proprio negli anni Ottanta, con una serie di fumetti che avrebbero definito una nuova epoca per il genere supereroistico. È qui che nasce, o meglio rinasce, il concetto stesso di “supereroe adulto”, afflitto da dubbi, tradimenti, sangue e redenzione.
Oggi, mentre la nuova serie tv “Daredevil: La Rinascita” prende forma su Disney+, prodotta dai sempre più tentacolari Marvel Studios, risulta inevitabile guardare indietro al 1980 con una certa nostalgia. Proprio in quell’anno oscuro e malinconico, la figura del Diavolo rosso ha preso finalmente corpo.
Capitolo I – 1984: l’anno della Tigre Bianca e del Diavolo rosso

Nel 1984, Daredevil smette di essere solo un vigilante cieco dal costume attillato. Diventa simbolo di un’America stanca, sfiancata, in cui anche gli eroi inciampano nel proprio dolore.
La morte di Hector Ayala, meglio noto come Tigre Bianca, non è solo un evento tragico nei fumetti: è una crepa nell’illusione del bene assoluto.
Murdock non è più un’icona pura, ma un uomo in crisi, un penitente urbano. Questo approccio narrativo rappresenta uno spartiacque: da qui in poi, i supereroi possono essere anche fragili, in rotta, dannati.
In questo contesto, la nuova trasposizione Daredevil: La Rinascita si muove con una coerenza spiazzante. La scelta curiosa di ripartire da una storyline che parla di smarrimento e fallimento, in un’epoca dominata dal trionfalismo CGI, si rivela vincente. La narrazione è serrata, il tono è volutamente plumbeo e anche il montaggio alterna frenesia a silenzi soffocanti.
Ma ti stai chiedendo quante stagioni di Daredevil ci sono? Dipende! In streaming abbiamo le tre stagioni nella versione Netflix (2015–2018) e ora Daredevil: Born Again, con due nuove stagioni previste per ora su Disney+.
Capitolo II – Kingpin, Trump e il potere senza maschera

C’è un elemento che distingue Daredevil: La Rinascita da molte altre produzioni Marvel Studios: l’attenzione al potere. Non quello mitologico, cosmico o galattico, ma quello politico, urbano, quotidiano. Il potere delle speculazioni immobiliari, delle pressioni mafiose sui tribunali, della stampa manipolata. E chi meglio di Wilson Fisk, il famigerato Kingpin, può incarnare tutto questo?
La sua New York sembra un’allegoria distorta della realtà moderna. Il parallelo con l’America del neo eletto Trump non è forzato, anzi: è strutturale.
Entrambi sono self-made men con ambizioni smisurate, entrambi manipolano l’opinione pubblica con carisma e minacce. Il confine tra legalità e sopruso si fa labile e l’estetica da magnate si sostituisce all’etica.
Il Kingpin di oggi ha smesso di nascondersi dietro maschere o scuse: domina apertamente.
Se l’uso del villain come figura politica potesse sembrare un semplice gimmick, la scrittura lo trasforma in un ingranaggio centrale del racconto.
Il pubblico, anche il più disincantato, finisce per empatizzare con Matt Murdock, proprio perché sa che quel potere, nella vita vera, è reale e tangibile.
Nel cuore della serie tv, l’opposizione tra Daredevil e Fisk si carica allora di un senso più profondo: è il contrappasso morale di un mondo dove il male veste Armani e distribuisce sorrisi nei comizi.
Matt, fragile e spesso fallibile, risulta comunque convincente, proprio perché non ha risposte pronte, ma solo la volontà di non arrendersi.
Capitolo III – Dove nasce davvero Daredevil: Born Again?

Ma dove è ambientato Daredevil: Born Again? Come nei migliori racconti di formazione, tutto si svolge in un luogo mitico e reale allo stesso tempo: Hell’s Kitchen, cuore malato ma palpitante di New York. Una città che diventa essa stessa personaggio, con le sue strade, le sue giurisdizioni infette, i suoi processi sempre più simili a riti d’espiazione collettiva.
Ogni episodio è un segmento chirurgico di dolore e redenzione. I volti nuovi non sono solo spalle narrative: la coprotagonista agente Angie Kim (una glaciale e lucida Ruibo Quian), l’enigmatico agente Powell (Hamish Allan-Headley) e il granitico commissario Gallo (Michael Gaston) popolano un mondo che non distingue più tra colpa e innocenza. La presenza di Yusuf Khan, interpretato da Mohan Kapur, riecheggia una dimensione familiare e sociale ormai scomparsa, quasi fosse la coscienza collettiva che tenta disperatamente di parlare all’eroe.
L’impatto visivo è potente: il murale lasciato da Muse, villain disturbante figlio delle tavole di Charles Soule e Ron Garney, è un inno macabro alla decadenza. L’arte come violenza, la bellezza come minaccia. In tutto questo, Matt Murdock – o meglio Mutt Murdock, come lo chiamava sua madre – rimane al centro del vortice.
Un diavolo di rinascita

Daredevil: La Rinascita non è una semplice serie tv, né solo un omaggio ai fumetti degli anni Ottanta. È un’opera stratificata, politica, malinconica. È un grido che parte dal 1984 e arriva al presente, sbattendoci in faccia sotto forma di intrattenimento troppe verità che preferiamo ignorare.
Il percorso di Murdock è la prova che anche gli eroi più fallibili possono diventare simboli, che la rinascita, prima ancora che apparente, deve essere etica. In un mondo dove i buoni sono privati della voce mentre i cattivi urlano al megafono, Daredevil ci mostra come combattere nel buio. Nell’oscurità, il vero inferno non è Hell’s Kitchen. È smettere di cercare giustizia.